Petra lascia qualcosa che è difficile da descrivere; oggi avremo un ultimo assaggio in questa zona con la visita della “Piccola Petra”, anche se il nome preciso è Siq al-Berid (i.e. Siq freddo). E’ un breve tragitto in auto che costeggia il perimetro montano di Petra, offrendo lungo il tragitto scorci notevoli alternati a paesaggi lunari. Al parcheggio un piccolo gruppo di graziosi bambini tenta di venderci qualche souvenir; ma è la prassi un po’ ovunque. Dove c’è un’attrattiva turistica, il più delle volte questa viene accompagnata da un piccolo “suk” di oggettistica varia. Sarà il caldo o la troppa polvere, ma non mi sembrano neppure molto motivati ed insistenti. A colpo d’occhio sembriamo i soli turisti presenti oggi; il silenzio è morbido, intervallato solo dall’eco della nostra guida che ci spiega come questa fosse un luogo espressamente dedito al commercio, un grande mercato prima della grande Petra. La camminata è breve visto che il percorso non è lungo più di qualche centinaio di metri; ai nostri lati ampie grotte sono incorniciate in sculture nabatee. Curiose sono le miriadi di gradini scavati nella roccia che portano ad altrettante stanze ricavate nella montagna; ma la particolarità è che questi ripidi sentieri portano a livelli sempre più alti, e sempre più scivolosi. Alla fine del siq le due sponde del canyon si stringono pericolosamente, con una scalinata di roccia che si alza fino a portare su di un altipiano dove la vista è stupenda. Alla fine della scalinata ci accoglie un improvvisato venditore ambulante; ma a differenza degli altri questo se ne sta rannicchiato a fianco di un piccolo focolare con sopra una teiera tutta sgangherata. Vedo che curioso ci scruta, con gli occhi scuri che sfuggono dal cappuccio della sua tunica; gli compro due piccoli monili anche se non so se fossero antichi o solo arrugginiti. Le pareti sopra di noi sono talmente ravvicinate da far rimbombare anche il nostro respiro, affannato da una rampa di gradini tutti consumati e molte volte mancanti. Il tempo per Petra è scaduto, anche se avrei dedicato volentieri un’altra giornata all’esplorazione del trail che da qui mi avrebbe condotto alle tombe nabatee; bellissimo.
Riprendiamo la marcia verso sud, direzione deserto del Wadi Rum; tutto intorno a noi solo sabbia. Seguiamo l’infinita autostrada del Deserto con la costante presenza, accanto alla carreggiata, della ferrovia dell’Hejaz; il paesaggio è senza dubbio un assaggio e un prosieguo del deserto arabo. Un paio di svolte nell’unica direzione possibile e giungiamo al polveroso ingresso del parco; davanti a noi le “sette colonne della saggezza”, una formazione rocciosa assomigliante a dei rotoli di papiro che emergono dalle sabbie desertiche. Il parco del Wadi Rum è una delle attrazioni naturali più famose e frequentate di tutto il medio oriente, reso noto anche dalle vicende di T.E. Lawrence e dal relativo film sulla sua vita che venne girato proprio qui. E’ un parco meraviglioso, un immenso mare di sabbia con imponenti guglie granitiche che affiorano un po’ ovunque; il rosa è il colore predominante che durante il tramonto si accende rendendo il paesaggio surreale. Al visitor center il nostro piccolo gruppo viene diviso su varie jeep che, attraverso un tour, ci porteranno al campo tendato. Facciamo subito sosta ad un accampamento beduino, con annessi petroglifi; affascinante il tè nel deserto. Il modo di prepararlo, niente più che due tizzoni di legno e una sgangherata teiera, e servirlo, con la tradizionale caduta della bevanda dall’alto, le danno un sapore magico. Iniziamo a percorrere stretti e silenziosi canyon, incrociando ogni tanto qualche piccola carovana di soli cammelli; in certi frangenti sembra di essere scivolati indietro nel tempo. Scaliamo un paio di alte dune di sabbia, rendendoci conto di quanto sia faticosa la sabbia morbida; ma l’esperienza di rotolarci poi giù è da fare assolutamente. Il deserto ha un fascino mistico, un profumo unico che non ho mai provato in nessun altro ambiente. Raggiungiamo il campo tendato, un piccolo villaggio adibito ad accogliere piccoli gruppi di turisti; ovviamente tutto è molto spartano, niente più che una branda e un polveroso materasso di gomma piuma. Al centro un piccolo patio dove la sera presumo ci raccoglieremo per cenare e magari fumare un buon narghilè in compagnia. Terminato il breve tour nel deserto, decido di ritagliarmi un po’ di solitudine; alcune alture alle spalle del villaggio potrebbero fare al caso.
Le alte dune di sabbia nascondo la fragilità dell’arenaria di queste colline, ormai cotte dal caldo diurno e indebolite dall’escursione notturna. Come tante cialde, si sfogliano al solo camminarci sopra; cerco quindi un percorso alternativo, una via meno invasiva per il delicato ecosistema di questo luogo. Raggiungo la vetta a cavallo del tramonto; giusto il tempo di abbandonarmi su una rupe in totale isolamento. In lontananza un beduino guida un piccolo gruppo di cammelli; lo sforzo di non perdermi nel tempo è notevole. Un alito di vento improvviso e al tempo stesso gelido segna il passaggio dal crepuscolo alla notte. I colori rosa del deserto mutano in arancioni accesi, le guglie delle alture proiettano ombre nette sulle dune. Il tramonto nel deserto è una di quelle esperienze da vivere almeno una volta nella vita; io ho avuto la fortuna di assaporarla solo nella Death Valley, in California, ma qui è un misto di selvaggio e mistico. Non lontano da me riconosco altri amici del gruppo, anche loro con i volti illuminati dagli ultimi raggi del giorno. Come una grande rappresentazione teatrale si rimane tutti in silenzio, musica per le orecchie. Rubo qualche scatto, ma come sempre sono conscio che la fotografia paesaggistica può solo rievocare emozioni forti in chi ha condiviso quel momento, difficilmente può crearne in una persona che non era presente. Lasciandomi trasportare dal pathos del deserto, mi dimentico che il ritorno al campo base sarà più ostico con il buio; per fortuna una splendida luna piena e ancor meglio una pila da campeggio mi agevolano la discesa. La serata scivola via in modo stupendo; un grande focolare e un piccolo gruppo musicale locale, con tanta semplicità ci ritroviamo già oltre la mezzanotte. Ma dormire in quella tenda non è proprio il massimo delle mie ambizioni; provo a coricarmi, ma il sonno non arriva. Sono le tre del mattino e ormai ho catalogato tutti i suoni del deserto, compreso il russare feroce nella tenda accanto. Mi rivesto, anche se devo essere sincero non mi ero mai spogliato; pila in mano e cavalletto con macchina fotografica nell’altra, si parte. Appena fuori mi accorgo di come la Luna illumini tutte le tende a giorno. In lontananza, ma neanche tanto, un cane ringhia istericamente; mi fermo per qualche minuto, proseguo o meno? Decido che la curiosità di vedere l’alba sull’altura del tramonto è troppa. Provo a ripercorrere la stessa strada della sera prima, ma con le ombre allungate e il buio sembra un percorso tutto nuovo; mentre cammino mi accorgo di quanti animali condividono l’attività con un povero insonne. A fatica riesco ad arrampicarmi in vetta, non senza qualche sbucciatura alle ginocchia; ma il panorama in alto è magnifico. In lontananza il muezzin canta la preghiera dell’alba; nonostante la differenza di religione mi emoziono come un bambino, in fondo non è molto diverso dallo scampanare del parroco in paese. Un colpo di vento violento e umido per poco non mi fa perdere l’equilibrio; anche questa volta è il segnale che la notte sta lasciando il posto ad una nuova giornata.
La vita nel deserto è davvero qualcosa di diverso; assomiglia all’emozione di immergersi in un bosco verde e fitto. I primi raggi a est trafiggono il cielo scolorendo il nero cupo della notte; il blu cobalto miscelato ad un rosa tenue comincia a far la comparsa sopra di me, mentre le stelle a poco a poco iniziano a spegnersi. Le vette riprendono colore, così come la sabbia che assume una tonalità granata. E’ la vita che ricomincia, o che si spegne visto che tutti gli attori notturni che prima riempivano il silenzio ora ad uno ad uno si zittiscono. Comincio ad intravedere qualche compagno di viaggio che timidamente esce dalla tenda. La stanchezza di una notte insonne è alleviata da tanta bellezza, consapevole che un’occasione simile di vedere un tramonto e un alba in un lasso così ravvicinato, non capiterà tanto presto (invece avverrà pochi mesi dopo, nel deserto del Kalahari ndr). L’unico vero rammarico è che oggi ripartiremo presto, in deroga al programma che avrebbe lasciato tutta la mattinata libera. Avevo infatti in progetto di esplorare, con una guida privata, il ponte di roccia di Jebel Burdah e il Canyon Burrah. Peccato davvero, perché il Wadi Rum offre davvero tanto e un paio di notti sono il minimo per apprezzarne le viste mozzafiato o gli affascinanti affioramenti rocciosi. Come un bambino che a forza si porta via dal parco giochi, vengo caricato sulle jeep in direzione visitor center. Il Wadi Rum è secondo me una meta obbligatoria in un viaggio nella terra giordana, e devo ammettere di ritenermi fortunato alla sola vista dei tour mordi e fuggi. Il nostro soggiorno sta finendo, mentre il nostro mezzo fa rotta verso nord. Stremato da una giornata vissuta al massimo, provo a riposarmi in attesa di visitare una delle più belle testimonianze dell’epoca romana in medio oriente, Gerasa.
|
giotto |
|