Sono appena passate le quattro di un freddissimo mattino di dicembre; fuori è ancora buio, ma la pallida luce della Luna lascia intravedere il gelo che ricopre le auto parcheggiate in strada. Ma oggi è il gran giorno, finalmente si parte per gli States. Ho poche ore di sonno alle spalle, ma la voglia di partire è talmente tanta che la stanchezza non osa avvicinarsi. Ancora è vivo il ricordo di questa estate, quando un insieme di imprevisti mi ha fatto annullare un viaggio nel sudovest degli States proprio il giorno prima. E' come se avessi vissuto in una specie di limbo per tutti questi mesi, in attesa di qualche imprevisto, ma oggi tutto deve andare come si deve. Dopo quasi dieci anni torno in Florida, la tanto bistrattata terra, ma che già allora (ai primi viaggi con la mia attuale ragazza) mi lasciò dei bellissimi ricordi. Non ha il fascino della California, non ha i paesaggi del sud ovest, nemmeno le luci di New York, ma ha il sole cosa molto sentita in questo inverno che si preannuncia più rigido del solito. Un paio di settimane con un itinerario semplice semplice, progettato velocemente. Subito diretti a Key Largo, dove avrei sostato la prima notte; da lì proseguo verso la tanto decantata Key West dove voglio rilassarmi per qualche giorno. Si riparte poi alla volta di Miami, dove alternerò tanto mare a qualche visita della città. Infine cambio di versante, quello del Golfo del Messico, fino a Naples. Come sempre, al momento della progettazione dell'itinerario viene la voglia e la smania di vedere tutto, ma questa deve essere una vacanza che mi rilassi, mi scaldi quanto basta ad arrivare alla primavera.
Chiudo finalmente la valigia e assieme alla mia ragazza facciamo finalmente rotta verso l'aeroporto di Bologna. Il buio ancora riveste tutto, l'alba la vedrò solo durante il volo verso l'aeroporto di Parigi, dove poi finalmente dirigerò su Miami. Non sono mai partito in inverno per andare al caldo e la cosa mi scombussola parecchio. La temperatura esterna oscilla intorno ai meno cinque gradi, ma entro poche ore dovrei piombare (almeno spero) intorno ai venticinque gradi. Come ci si deve vestire per non morire assiderati a Bologna e Parigi e per non sembrare un eschimese smarrito all'aeroporto di Miami? Un sportivo con un piumino da riporre poi in valigia penso sia il compromesso più giusto per il caso. Durante il tragitto per Bologna la mente vaga dalle domande più tradizionali "cosa ho dimenticato a casa?" fino a quelle più mistiche "ci sarà bel tempo a destinazione?"; ma il sonno e l'apprensione per la buona riuscita del viaggio lasciano un po' alla volta questi pensieri lungo l'autostrada, facendoli confondere con il buio. Finalmente arrivo all'aeroporto; mentalmente distinguo la fase sognatrice e di programmazione di un viaggio dal momento che entro nel check-in; solo in quel momento posso dire che la vacanza è iniziata, si può solo andare avanti. E come ogni volta mi piace fantasticare cercando di capire cosa muova così tante persone verso i più disparati itinerari. L'aeroporto poi di Parigi non fa altro che amplificare questo interrogativo: flussi di gente dai tratti somatici più diversi si muovono da un gate all'altro come piccole pedine di un disegno complesso. Andranno in vacanza, oppure sono pendolari, o ancora, tornano a visitare lontani parenti? Migliaia di visi che incrociano i miei occhi e che mai più vedrò. La vita è buffa e cinica molte volte, perchè fa incontrare o viaggiare spalla a spalla persone con vite, origini, pensieri così diversi, ma che per ore restano assieme. Ogni volta che viaggio mi piace pensare come tante rette parallele in fondo possano toccarsi per poi tornare a correre affiancate.
Il volo per Parigi scivola via liscio, lasciandoci negli occhi anche una bellissima vista della citè dal cielo, con la tour Eiffel che buca il sottile velo di foschia della metropoli che si sveglia. Molto suggestivo. Peccato che poi le attuali restrizioni per aumentare il grado di sicurezza, si trasformino in file interminabili di controlli approssimativi di passaporti. L'immagine con centinaia di passeggeri che agitano al cielo il passaporto, stretti nei lunghi corridoi del Charles de Gaulle, sembrano scene provenienti da altri tempi e soprattutto non attinenti all'Europa. Per poco non rimaniamo, come molte altre persone, a terra. Ma un con un po' di "mestiere" e calma riusciamo a raggiungere l'immenso Airbus che con un volo tranquillo e molto veloce (poco meno di nove ore) ci catapulta sulle coste della Florida. Subito alla mente, mentre compiliamo nell'ultima ora il modello per l'immigration, mi tornano le immagini di un anno record in fatto di eventi meteorologici eccezionali per tutto il Golfo del Messico. Per un momento il fiato mi rimane in gola, chissà se la famosa efficienza americana ha già ripristinato locali e natura. Ormai siamo qua, pensiamo a divertirci e basta. L'immagine più bella è il profondo blu che filtra da una grande vetrata, proprio antistante la dogana di Miami. Quasi quaranta "gate" per il controllo passaporti sono stracolmi di passeggeri sbarcati da ogni dove; ma la cosa più bella è vedere come chiunque avesse avuto poche ore prima un piumino, ora lo stia riponendo velocemente in valigia, restando in jeans e polo a maniche corte. In quel momento capisco davvero che la fuga dal grande freddo è finita. Avevo programmato che in circa una quarantina di minuti sarei già arrivato al noleggio delle auto. Troppo ottimista; dopo un'ora e mezza dall'atterraggio eccoci ancora in fila alla dogana. "Per favore indice destro e sinistro sullo scanner", infine fermi per la foto dalla webcam e via con il timbro d'ingresso. Il procedimento di dogana si è allungato tantissimo dopo l'introduzione delle misure sul riconoscimento e schedatura dei passeggeri. Sarà una sensazione solo mia, ma anche dopo più di dieci viaggi negli USA ogni volta che devo aspettare come uno studente quel timbro sul passaporto mi si strozza il cuore in gola. Ogni volta ho paura che qualcosa non sia in regola e ogni volta tiro il classico sospiro di sollievo. Via, siamo in ritardissimo. Dobbiamo fare almeno due ore di strada verso Key Largo e già fuori cala il sole.
Appena si aprono le porte dell'aeroporto ti ritrovi di colpo catapultato nel solito caos americano. Taxi che ballonzolano al passaggio sui limitatori di velocità, pulmini privati, navette dei noleggi. Senza nessun problema individuiamo la nostra navetta che ci porta diritti all'Alamo. Nel tragitto ci colpisce subito il traffico impressionante di Miami; mai visti tanti ingorghi tutti in una volta in una città americana. Ma al tempo stesso mai visti tanti giardinieri lavorare alacremente nel raddrizzare palme e siepi. L'autista ci spiega che erano un paio di giorni che diluviava, ma non a livello di uragano. Subito il mio pensiero è volato al desiderio di sole e mare; se comincia a piovere siamo fritti! Per fortuna siamo riusciti ad avere tempo limpidissimo per tutto il viaggio e una temperatura che ha sempre oscillato tra i diciotto gradi alla sera fino ai trenta del giorno. Davvero una fortuna sfacciata, ma ce lo meritavamo dopo quello che ci era successo questa estate. Anche l'Alamo ha la sua fila di persone in attesa dell'auto; già capisco che salta il primo tramonto in riva al molo di Key West. Solita prenotazione di una compact car, subito convertita con una piccola aggiunta in una fiammante convertible della Chrysler. Lesinate su altre cose, ma godetevi (in inverno) una cabrio sulle strade della Florida. Non potete immaginare cosa sia statopercorrere i ponti delle Florida Keys con il sole in faccia e il vento tra i capelli. E' una vacanza nella vacanza. Finalmente la vacanza inizia; ci dirigiamo verso le Keys, ben scappottati e con il sole che piano piano disegna in cielo fantastiche tonalità di rossi e blu. Che spettacolo è l'America.
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giotto |
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