Siamo fermi alla dogana Siriana, i soldati ispezionano il nostro trasporto. Non avrei mai pensato che anche provenendo dalla Giordania i controlli sarebbero stati così serrati. Ho sempre creduto che giordani e siriani fossero come fratelli, ma è indubbio che questo è il viaggio dove molte delle mie convinzioni stanno cadendo un poco alla volta. Tutti intorno a noi poster a dimensioni abnormi, prima della famiglia reale giordana e ora del presidente siriano. La cosa mi sembra abbastanza familiare, come in Italia quando si entra in campagna elettorale, tutti in posa risoluti e sorridenti per compiacere chi osserva. Se mi avessero detto che sarei andato in Siria in viaggio, avrei risposto con una grossa risata; e invece eccomi qua. Per ora la Giordania mi ha affascinato oltremisura, ma più di un pizzico di timore verso la Siria ce l’ho; è definita uno dei Paesi appartenenti all’asse del male, uno Stato canaglia, forse sarà popolato da orchi. Mentre rimugino sugli appellativi occidentali a questo Paese mi godo uno splendido paesaggio, fatto di grandi campi coltivati e degli immancabili minareti. La prima tappa è la cittadina di Bosra, poco dopo il confine; ammetto la mia ignoranza, ma non sapevo fosse stata così importante nella storia antica. Fu temporaneamente capitale del regno nabateo, nonché fu uno dei cardini della provincia romana d’Arabia. Ma nel corso di tutto il viaggio mi sono accorto di quanta storia e religione sia passata da ogni piccolo angolo dell’area mediorientale. Arriviamo nella minuta piazza antistante l’ingresso delle rovine; mi sembra d’essere in Andalucia per il clima sonnecchiante dei pochi presenti. Un paio di anziani al bar ci osserva senza troppo interesse, di turisti credo ne passino abbastanza da queste parti; sarà anche così, ma oggi ci siamo solo noi. Credo che le folle oceaniche della Giordania qua non le abbiano mai viste. Ci addentriamo tra le rovine, un colpo d’occhio abbastanza impressionante; resti romani fungono da base per edifici antichi ma costruiti con blocchi di basalto nero. E’ come se rivedessi una piccola Gerasa in abito da sera, totalmente in scuro; davvero bellissimo e strano. Ciò che però balza subito all’attenzione è la poca cura con cui è conservato il complesso storico; piccole famiglie hanno addirittura trovato domicilio in antiche domus, mentre altri bambini giocano scalzi tra un colonnato e un bagno romano.
Ci sentiamo davvero degli ospiti in casa altrui, anziché turisti in un sito storico. Il rigore giordano qua non esiste proprio, gli standard qualitativi in pochi km di strada sono scemati molto; l’isolamento internazionale ha sicuramente accentuato questo. Passeggiando per la città vecchia impossibile non ammirare le due porte, quella della Lanterna e quella del Vento; ma la vera attrazione di Bosra è la Cittadella. Un grande teatro romano fu fortificato intorno al 1200 da parte degli omayyadi; spesse mura e alti torrioni servirono come protezioni dagli attacchi dei crociati. Oggi ritroviamo un teatro in eccellente stato di conservazione, inserito appunto in una struttura altamente fortificata. Entrando l’atmosfera è particolare, dove un alternarsi di ampie sale buie e umide fa da contraltare ad aperture che vengono invase dalla luce esterna; questo gioco continuo crea effetti stupefacenti. Qualche compagno di viaggio s’improvvisa tenore dal palco deserto del teatro, esaltando l’acustica davvero ottima. Un breve excursus a Bosra, giusto per saggiare l’immenso patrimonio artistico della Siria; ma ora l’obiettivo è Damasco. La distanza tra le due località è piccola, ma il viaggio per circumnavigare le alte colline della capitale siriana portano via tanto tempo per strada. Arriviamo in serata in una delle città più antiche del genere umano; la parola Damasco già evoca in me riverenza e mistero. Forse perché la immagino come crocevia di mercanti e santi, o forse perché la accomuno alla stregua di Beirut come luogo d’incontro di figure enigmatiche che con la loro diplomazia tessono la rete di equilibri planetari. Forse vago troppo con la mente, ma esistono città che il loro solo nome evoca emozioni forti; Gerusalemme, New York, Roma, Londra, Mosca giusto per fare qualche esempio. Sosteremo in città solo alcune notti, ma ho già notato che il programma è strapieno di visite. Mi affaccio al balcone dell’hotel, siamo in una posizione panoramica; le mille luci della città sono ipnotizzanti, tra i verdi minareti e le cupole arancioni dei castelli. Incantevole, ma soprattutto emozionante; è un mondo così diverso e distante. All’indomani iniziamo, da bravi turisti, la visita del Museo Nazionale; ad accoglierci sotto all’imponente portale un gruppo di giovani dervisci. Non li avevo mai visti dal vivo, sono elegantissimi, vestiti con il loro abito bianco e il copricapo coloro canapa; la loro danza roteante, sulle note di un flauto, li dovrebbe portare all’estasi. Io mi limito ad ammirarne le movenze, senza entrare troppo nella metafisica. Ho una concezione tutta mia dei musei; non amo considerarli come un susseguirsi di sale e gallerie, dove la maggior parte della gente transita e basta. Fosse per me visiterei una mostra solo per un paio di opere, per consumarle con i sensi e soprattutto per ascoltare qualcuno che me le illustri in modo più che esauriente. Il turismo culturale è una piaga diffusa, il dire “visto” non è più limitato a luoghi naturalistici, ma ora è importante dire che si è entrati in tutti i musei del globo, senza magari capire che tra un’opera e l’altra trascorsero un paio di secoli.
Il Museo Nazionale è veramente ricco di sculture, mosaici e reperti antichissimi; purtroppo, come accade spesso, ogni opera si trova accanto all’altra. Senza dubbio delle stanze più scure con un bel gioco di luci valorizzerebbe maggiormente ogni singolo oggetto. Espletata la visita, finalmente ci tuffiamo nella Damasco vecchia; la frenesia di una città sempre in movimento e il trambusto del mercato adiacente sono come uno shock alla nostra discesa dal veicolo. Amman, la mia unica pietra di paragone, era tutta precisa e posata; qui finalmente riconosco l’idea di città mediorientale. Veniamo risucchiati da uno dei più grandi “suq” al mondo, il “Souq Al-Hamidiyya”; una grande galleria coperta è invasa da migliaia di persone, da decine di piccoli negozi che vendono di tutto. La vera peculiarità sono le grida dei venditori, che con una dote innata riescono ad attirare a se chiunque transiti ad un metro dal loro banco; altra nota unica sono i colori, un grandioso arcobaleno di stoffe, bandiere, monili che disorientano gli occhi. Provo a camminare cercando di realizzare dove mi trovo, ma riesco solo a capire che dopo pochi metri mi sono perso; per fortuna il flusso inarrestabile di gente mi trascina senza troppi pensieri. Finalmente a Damasco noto come le donne si riappropriano di un ruolo sociale, vedendole un po’ ovunque e raramente coperte totalmente. E’ veramente difficile capire in quale secolo mi trovi. Sopra la testa tantissime bandiere verdi con spade gialle, forse meglio che non sappia cosa dicono. Il suq sembra l’insieme di duemila anni di stili architettonici; infatti rivediamo luce grazie alla porta del Tempio di Giove, un grande arco e dei resti di colonnati di origine romana. Davanti a noi si apre in tutta la sua imponenza una delle moschee più imponenti e belle dell’intero Islam; apprendo che come importanza religiosa è seconda solo alle sacre moschee di Medina e della Mecca, il che mi lascia a bocca aperta. Credo sia lo stesso effetto che farebbe ad un musulmano vedere per la prima volta la chiesa di San Pietro, profondo rispetto, ammirazioni e tanta curiosità. Si, proprio tanta curiosità è quella che affiora in me. Ci copriamo con delle tuniche fornite all’ingresso, poi facciamo il nostro ingresso dalla porta nord chiamata Bab al-Amara. La curiosità di vedere come pregano, di come si comportino in un luogo sacro; appena entrato nel cortile la prima sensazione che percepisco è tanta pace e quiete. La fontana delle abluzioni, al centro del cortile, viene utilizzata con molta calma da due ragazzi; a fianco a noi stanno dando lo straccio a terra per pulire l’immenso pavimento di marmo lucido che sotto i raggi del sole risplende come fosse vivo. Ai due lati del cortile due bellissime cupole, degli orologi e del tesoro, incorniciano la facciata della sala di preghiera. Dentro, un transetto racchiude la tomba di San Giovanni Battista; la mia infinita ignoranza mi aveva nascosto un luogo del genere.
Sono in medio oriente e più passano i giorni e più rimango basito dalle testimonianze relative alla nostra storia, è un viaggio che scava alla base delle nostre origini spirituali. Sempre dentro alla sala di preghiera un’altra tomba molto importante per gli sciiti, quella che ospita le spoglie di Ali, nipote di Maometto. Tornando in cortile è impossibile non rimanere affascinati dalla cupola dell’aquila e dai tre minareti, tra i quali quello a sud-est, il più alto, è detto di “Gesù” perché la tradizione vuole che proprio lì riapparirà per annunciare il giorno del giudizio. Una visita davvero ricca, piena di emozioni indelebili. La sera incombe, ma ci hanno organizzato una cena davvero particolare, in un locale non troppo turistico sulla collina di Damasco, la Jebel Qassioun; il panorama che si gode è molto bello, con la città che ai nostri piedi che lentamente si accende. Il nuovo giorno si riapre nuovamente con il Souq Al-Hamidiyya, perché l’impatto devastante del giorno prima ora diventa una necessità; girare trai mercanti di stoffe, spezie o pietre preziose è un’esperienza magica. Un piccolo venditore ci sfila davanti rincorrendo un paio di galline scappate dalla gabbia, perché qui è tutto molto naturale e di turisti occidentali non se ne vedono troppi. All’altezza della moschea degli Omayyadi dirigiamo verso sud, attraversando il vicolo dei profumieri, veri e propri artisti nella confezione di aromi personalizzati; le vie sono sempre più strette e ostruite da carretti e mercanzia esposta. Questo non toglie che ai lati si aprano vere e proprie meraviglie come antichi hamman, caravanserragli o piccoli giardini nascosti. Mi riprometto di tornare in questa zone durante la sera, pregustandomi un’atmosfera più tetra e solitaria; la nostra guida infatti mi ha più volte confermato che la delinquenza sia un crimine poco diffuso. Zigzaghiamo tra i vari Souq, prima Silah e poi Bzouriyya; proprio in queste poche vie l’esplosione di colori che le spezie e le sementi hanno sui banchi dei commercianti è indescrivibile. Non avevo la coscienza di quante tonalità e di come fossero pungenti le merci dei droghieri, tutte ben esposte una a fianco dell’altra. Arriviamo in fondo alla città vecchia dove il quartiere cristiano fa bella mostra di sé; ci si accorge del cambio dall’ordine che qui si riscontra, dalla mancanza di urlatori di strada. Sembra che ogni volta si svolti una strada di trovarsi ad anni luce dal quartiere precedente. E’ curioso veder scherzare ad un bar un imam ed un prete, sicuramente una scena che andrebbe trasmessa in tutti i telegiornali prima di fomentare ulteriormente inutili guerre religiose. Visitiamo con curiosità la Cappella di Anania, dove si tramanda vivesse uno dei discepoli di Gesù; la porta di Bab Kisan rappresenta la nostra ultima meta nella città vecchia. Proprio da questa porta la tradizione narra che fu calato Saulo di Tarso, l’attuale San Paolo, per sfuggire all’ira degli ebrei. Poco distante la Cappella di San Paolo è una fermata pressoché obbligata. Che giornata, avremo macinato decine di km tra vicoli e luoghi sacri; Damasco è oltremodo affascinante, ricca di storia e piena di ottimi ristoranti e taverne in centro, il che non guasta mai.
Alla sera decido, assieme ad altri pochi coraggiosi, di lanciarmi in una mini escursione solitaria; la nostra guida, molto libertina, mi indica dove scendere e come raggiungere la meta. Per il resto prendiamo un taxi; ovviamente immaginavo parlasse inglese o francese. Mi riduco invece a guidare il taxista con una mappa in mano e un braccio fuori dal finestrino, giusto per non creare dubbi sulla direzione. Veniamo abbandonati davanti alla Cittadella, la sera sta lasciando qualche sfumatura rosa in cielo e sulle alte guglie dei minareti. Vorrei montare il cavalletto e cominciare a scattare foto, ma vengo trascinato dal piccolo gruppo che di corsa sta facendo fatica ad avanzare nel souq. Arriviamo al cospetto del nostro obiettivo, la Moschea di Sayyida Ruqayya; perché visitare l’ennesima moschea? Perché ero curioso di sapere il perché la Lonely Planet avesse usato la sua cupola come foto introduttiva del libro; la guida mi ha illustrato le peculiarità di questa moschea, detta degli specchi e famosa in tutto il mondo islamico. Una delle poche moschee sciite a Damasco, sicuramente il coronamento di un viaggio in barba a tutti i pregiudizi di intolleranza interreligiosa. Le donne vengono bardate completamente con dei veli, mentre noi maschi ci abbigliamo con tonache fino ai piedi. Gli ingressi sono addirittura separati, denotando un’alta rigidità; ma l’interno è meraviglioso. Volte ricoperte di specchi con lampadari che creano giochi di luce, il tutto in un clima di austerità e grande devozione. Rimaniamo pochi minuti ad osservare un mondo lontanissimo dalla nostra quotidianità, ma rispettosamente li ammiro per tanta fede. Presenziare alla preghiera della sera in un luogo tanto chiuso è stato il modo migliore di salutare la capitale siriana. In pochi giorni di viaggio mi sono accorto della genuinità di questo popolo e anche del loro caldo modo di accogliere noi occidentali. Non me lo sarei aspettato, ma molte cose erano diverse prima di partire. Troppe per una persona che ha sempre viaggiato tanto.
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giotto |
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