Una colazione appena passabile nella tavola calda collegata alla nostra struttura e via in fuga verso il parco nazionale di Mesa Verde. Finalmente oggi entrerò in Colorado, uno Stato che non ho mai visitato prima d’ora; premetto che non sarà una grossa permanenza, un paio di giorni tra il parco e le cittadina di Durango. Ma è comunque emozionante lo spingersi sempre oltre, il visitare altro. Seguendo le indicazioni di alcuni libri la strada che sto percorrendo, la US191, dovrebbe rivelersi abbastanza noiosa e anonima. Nutro qualche dubbio in merito al giudizio di queste guide; il paesaggio è quello classico del sudovest americano, una miscela di piccole monument valley con verdi praterie coltivate dai nativi. Già all’altezza di Many Farms si vedono all’orizzonte formazioni rocciose come Round Rock che con l’alternarsi del buio e della luce causato dallo scorrere delle nuvole ne esaltano i colori rossastri; forse io sono di parte, nel senso che a me basta respirare quest’aria pregna di America per sentirmi al settimo cielo, ma è indubbio che oggettivamente questo susseguirsi di paesaggi tolga il fiato.
Uno degli spot più belli della terra Navajo lo si incontra quasi all’incrocio con la US160 dove due immensi monoliti emergono solitari dal suolo e prendono il nome di Dancing Rocks. Provo a fermarmi per immortalarli e ammirarli meglio, ma non è facile; purtroppo i tralicci della luce ne impediscono una vista pulita; in aggiunta tutte le terre sono recintate, dato che sono proprietà privata. Immagino già il titolare del terreno quando parlando con un amico racconta che in giardino ha le Dancing Rocks; fuori di testa. Per fortuna vedo l’ingresso di un ranch, e con la scusa di chiedere informazioni, mi infilo con auto e bagagli nella sua strada privata; perfetto, le ho davanti a me, ma meglio non indugiare troppo visto che è già andata bene così. Arrivo al bivio con la US160 con il dubbio se proseguire diretto verso il Colorado oppure fare una piccola deviazione in New Mexico; una rapida consultazione con il navigatore e mi lancio verso est. Ci sono in ogni viaggio delle fisime quasi immotivate, delle immagini che rimangono impresse negli occhi mentre si tracciano le rotte; una di queste è la fisionomia mistica di Shiprock. Non saprei se è una montagna o la reminescenza di un vecchio vulcano, sta il fatto che la sua forma imponente che si staglia in un paesaggio desolato e pianeggiante mi ha sempre affascinato. Pochi minuti e il cartello “Land of Enchantment” ci indica che siamo entrati in New Mexico. La prima cosa che balza agli occhi è il limite di velocità, ancora più restrittivo dell’Arizona; in pratica viaggiamo a passo d’uomo.
In meno di un quarto d’ora arriviamo in vista di Shiprock, uno spettacolo esagerato. Pianura ovunque con questo pinnacolo altissimo e frastagliato che si spinge in cielo; bellissime alcune sue foto con le nuvole che ne smussano la vetta. Oggi invece di nuvole nemmeno l’ombra, solo un gran caldo. Lentamente ci avviciniamo, ma mi accorgo subito che per vedere bene la formazione rocciosa occorrerebbe poi circumnavigarla in direzione sud; mi accontento di averla vista, con tutta la sua coda fatta da una cresta rocciosa che fa assomigliare il complesso ad un drago. E’ meglio far rotta verso il Colorado, prima che rischi di perdere la visita a Mesa Verde. Ora stiamo viaggiando, se non sbaglio, sulla famosa “strada del diavolo” la US666 considerata quella con più incidenti d’America; sinceramente stento a crederci, sta però il fatto che ne abbiano cambiato la numerazione con US491. Un’oretta di viaggio e arriviamo a Cortez, la cittadina più vicina al parco di Mesa Verde, ma già appena si entra nel Colorado ci si accorge del cambio sia di clima che paesaggistico. La natura ricomincia a prendere il sopravvento sulla nuda roccia; boschi di conifere riempiono tutti i versanti delle Montagne Rocciose in lontananza. Il nostro alloggio è il Far View Lodge all’interno del parco e spero contribuisca a creare quell’atmosfera tipica di tutti gli hotel interni alle riserve naturali americane.
Un volta raggiunta Cortez, erroneamente, esulto pensando di essere arrivato; nemmeno per sogno. Mesa Verde si trova su un’altissima mesa alla quale si accede dopo aver scalato una montagna senza fine; classici tornanti di montagna ci cullano tra vallate e overlook, traghettandoci fino all’ingresso del parco. Intanto sopra di noi si abbatte un bel temporale in stile film “la guerra dei mondi”; non una goccia d’acqua, ma i fulmini cadono come saette ovunque. Corriamo, senza alcuna metafora, al visitor center dove è possibile effettuare i ticket per i vari siti archeologici: la scelta è tra Balcony House e Cliff Palace. Non è ammesso fare entrambi nello stesso giorno, ma questo può essere aggirato facilmente facendo fare alla Babi l’altra fila. Memore però dei consigli che diffidavano chi soffre di vertigini dall’affrontare le ripide e precarie scalette di Balcony House, diligentemente e in modo onesto ci limitiamo ai ticket di Cliff Palace. Un breve ma tortuoso percorso stradale interno al parco mette in evidenza il terribile incendio che si è abbattuto nel luglio del 2000 in questo versante, causato da un fulmine; a testimonianza di quel disastro un cimitero di tronchi ancora anneriti dalle fiamme fanno sembrare questo lato di Mesa Verde a un girone infernale della Divina Commedia.
Intanto, assieme agli altri turisti del nostro stesso turno, ci raccogliamo su una terrazza antistante la Cliff Palace; dall’alto è uno spettacolo, una bomboniera. Un’alta fenditura nella parete del canyon di Mesa Verde ospita antiche abitazioni, granai, sale cerimoniali di antiche popolazioni come i misteriosi Anasazi; in confronto le strutture del Canyon de Chelly impallidiscono. Mesa Verde ricordo che fa parte dei siti protetti dall’Unesco, non per dire. Ma ecco che compare la nostra guida, una giovane e sorridente ranger col suo classico cappello a tese larghe; intanto sopra di noi il temporale incombe come una spada di Damocle. Fino ad oggi ho avuto una fortuna sfacciata, vediamo se riesco a prolungare la striscia vincente; neppure il tempo di parlare che si abbatte un violento nubifragio accompagnato da pericolosi e vicini fulmini. Fino a pochi secondi fa le saette mi affascinavano e incuriosivano, ora ho realizzato che invece ne sono terrorizzato; quando si vede solo la luce, senza vedere il lampo, ti arriva in viso quel colpo d’aria e al tempo stesso senti rumore di scarica elettrica, credo che in quel momento sia il caso di mettersi al riparo. La stessa ranger, dopo un paio di minuti di impassibile freddezza ci fa correre giù per una ripida scalinata fino a raggiungere il grande “salone” che ospita le bianche costruzioni indiane. Dall’alto facevano un certo effetto, ma trovarsi al loro cospetto, protetti da questa immensa grotta mentre gronda acqua nel canyon antistante, mi sento veramente piccolo.
Immaginare vita quotidiana in questo borgo e pensare che in tutto il canyon ci saranno almeno un’altra decina di questi agglomerati urbani fa impressione; una città frazionata e stipata dentro la montagna. Nemmeno un autore di fantascienza avrebbe mai ipotizzato tanto. Sale cerimoniali, torri di guardia, granai, reti di scalette in legno che collegano i vari livelli del villaggio; camminandoci in mezzo si rimane quasi ipnotizzati. Gli unici rumori sono quelli di un’aquila che volteggia nella valle e la voce della ranger che rimbomba silenziosamente dentro Cliff Palace. Nel frattempo la pioggia ha smesso di cadere e qualche squarcio di sole timidamente prova a farsi strada; sopra di noi una piccola cascata di acqua piovana dà un colore molto selvaggio a Mesa Verde. La visita si conclude attraverso uno stretto passaggio dove una scala in legno ci riporta in vetta alla mesa; credevo durasse di più, abbiamo ancora una buona fetta di pomeriggio da sfruttare. Peccato non aver fatto Balcony House, per di più non visibile dalla strada, ma far salire su scalette di legno alte anche sei o sette metri la Babi sarebbe stato troppo. In compenso il forte temporale ha mandato in fuga tutti i turisti; in pratica abbiamo il parco a nostra totale disposizione.
Ultimiamo il percorso stradale di Cliff Palace Loop e imbocchiamo quello di Mesa Top da dove partono piccoli trail che conducono a bellissimi overlook, eccezionale quello di Square Tower, e a siti dove sorgevano antichi pueblo; suggestivo lo stop a Sun Point View, ma soprattutto a Cliff Palace View da dove tutto l’antico pueblo sembra un piccolo e bianchissimo presepe. L’atmosfera è spettrale, non c’è davvero nessuno; se penso che fino ad un paio d’ore fa sembrava d’essere ad un parco divertimenti della Florida, quasi non ci credo. Rapida occhiata all’orario di chiusura e mi accorgo che se mi sbrigo riesco a lanciarmi alla volta di Spruce Tree House. Questo piccolo complesso di kiva e strutture si trova a fianco della Chapin Mesa, dopo un breve e riposante trail all’interno di un bosco; sempre lungo il trail è possibile fare una deviazione per ammirare antichi petroglifi. Spruce Tree è solo parzialmente originale, nel senso che alcune sue parti vengono continuamente rinforzate e ristrutturare a causa della mole di turisti che quotidianamente la visitano. Suggestiva è la discesa all’interno di una kiva; per farlo occorre scendere, grazie ad una ripida scaletta, attraverso un foro nel soffitto. Una volta entrato mi sembra che il tempo si sia fermato; gli stessi suoni dall’esterno filtrano ovattati mentre la luce soffusa si alterna ai bagliori che s’insinuano dalla fessura. Riusciamo dalla kiva con un senso di malinconia, quasi tutti questi giorni a contatto con le antiche popolazioni dei pueblo ci avessero un poco contagiato con il loro modo di vivere e pensare. Da domani inizia la parte finale del viaggio fatta più di città che di parchi e la tristezza avanza a passi decisi.
La temperatura a Mesa Verde è tutt’altro che mite, ma ad essere sincero raramente ho incontrato temperature proibitive; mentre alla sera una felpa è sempre stata utile, complice l’escursione termica. Ancora un po’ umidi dall’acquazzone del pomeriggio e stanchi del viaggio da Chinle prima e Shiprock dopo ci avviamo verso il nostro “esclusivo” lodge Far View. Lo credevo meglio come camera, anche perché purtroppo è lontano dalle meraviglie del parco. In compenso un’eccellente ristorante, abbastanza elegante, ci delizia con ottimi piatti durante la serata. Tra tutti i lodge interni ai parchi che ho visitato negli States il Far View mi ha dato l’impressione di avere meno qualità e cura nei servizi e particolari; allo stesso check in, un’addetta sbadata per poco non ci addebitauna cifra astronomica. Piccole cose che però ti fanno storcere il naso; resta il fatto che Mesa Verdeincarna un fascino immenso. Mezza giornata non è nulla soprattutto se penso che ci sarebbe da visitare ed esplorare un’altra sezione del parco, più lontana e più riservata, chiamata Wetherill Mesa con le sue Kodak, Step e Long House. Ma ora è meglio andare a letto, domani ci aspetta il New Mexico.
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giotto |
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