La parete a vetro della nostra camera sembra proiettarci dentro al grande invaso del lago Myvatn. Anche se un po’ sfuocati dalla leggera foschia mattutina, si vedono ergersi minacciosi dalle acque i numerosi coni vulcanici. In effetti tutta l’area è contraddistinta da un’elevata attività vulcanica e quindi anche tellurica, il che ci fa andare a dormire sempre con quel pathos che da un momento all’altro si possa decollare. Qualche lecito pensiero alleviato da colazioni sontuose, quello che serve per meglio definire gli itinerari da affrontare durante la nostra permanenza; le piccole persiane della sala da pranzo lasciano filtrare la tonalità blu cobalto del cielo, anche se pensare che il meteo rimanga stabile per tutta la giornata è pura utopia in Islanda. Decidiamo di fare un giro esplorativo lungo la strada che costeggia il lago. I paesaggi variano radicalmente nel giro di pochi km, presupponendo piccole escursioni ravvicinate. Arriviamo sulla sponda opposta alla cittadina di Reykjahlid; il tempo di parcheggiare e ammiriamo un folto gruppo di cavalli che corre libero tra le colline davanti a noi. Per un momento mi sembra di tornare in Namibia, ma il verde acceso dei prati islandesi mi riporta alla realtà. Ci addentriamo tra le decine di coni vulcanici di Skutustadir, un paesaggio fiabesco immerso tra prati verdi e il blu del lago. Ma di fiabesco credo ci fosse ben poco al momento della sua formazione; stiamo infatti camminando su crateri di dimensioni non troppo grandi che devono aver dato spettacolo migliaia di anni fa. Facciamo la conoscenza anche delle famose zanzare, o moscerini, del lago Myvatn; il nostro semplice respiro, meglio dire l’anidride carbonica che emettiamo, rappresenta un forte richiamo per questi noiosissimi insetti. Per fortuna un leggero ma persistente alito di vento riesce ad attenuare le orde ronzanti. Un’oretta passeggiando lungo percorsi ben segnalati, avvolti in un silenzio tombale; ultra rilassante.
Ci rimettiamo in moto tornando verso Reykjahlid, ma fermandoci quasi subito per visitare la laguna e la penisola di Hofdi. Questa piccola lingua di terra offre delle vedute del lago stupefacenti. A fianco Skutustadir incornicia le acque calme di Myvatn, mentre in lontananza le fumarole che provengono dalla direzione del vulcano Krafla danno un tocco altamente sinistro a tutto il panorama. Questa porzione di Islanda è un’area protetta, una garanzia alla tutela del suo delicato equilibrio tra flora e fauna. Mentre si passeggia lungo gli stretti sentieri, per ottenere visuali sempre nuove, si possono incontrare le più svariate tipologie di uccelli. Il meteo ci assiste regalandoci un cielo blu intenso che si specchia nelle acque del lago, intervallate da qualche innocua nuvola artica. E’ un’area molto turistica, ma onestamente s’incontrano poche persone lungo i percorsi; è evidente come la mia percezione di ‘turistica’ non sia più confrontabile con le escursioni nel southwest americano. Pochi minuti di auto e facciamo rotta verso l’insolito labirinto di Dimmuborgir. L’ingresso è adiacente ad un piccolo ristorante davvero accogliente, posizionato su un cucuzzolo che regala una panoramica su tutto il lago. Ci lanciamo in uno dei pochi percorsi offerti, ma sempre ben segnalati da indicazioni colorate. Il paesaggio oscilla tra l’angosciante e il tetro, ma io preferisco definirlo stupefacente. Perché camminare in un campo lavico, nel quale si sono formati archi e colonne, oltre a grotte e tunnel bisogna ammettere che non può che essere definito un miracolo della natura. Già il termine ‘dimmu-borgir’ ovvero ‘oscuro castello’ descrive in modo esemplare lo scenario circostante, fatto di grandi muraglie nere intervallate da pinnacoli attorcigliati. L’elemento simbolo è Kirkjan, che tradotto significa chiesa, ovvero un’alta galleria ricavata in modo naturale nella lava nera. Un paio d’ore di passeggiata, a volte arrampicandoci tra immensi monoliti cupi, comunque percorsi molto facili. Senza accorgercene abbiamo già ampiamente occupato la mattina e parte del pomeriggio; finalmente puntiamo verso uno dei luoghi più strani, inquietanti ed emozionanti al tempo stesso, Namaskard. E’ un’area assai vasta che inizieremo ad esplorare oggi, ma che occuperà anche buona parte della giornata a venire.
La piccola strada che dal nostro hotel s’inerpica nel passo tra le basse alture di Namafjall e Dalf]all è sommersa di nuvole di zolfo; l’unico punto di riferimento è il blu cobalto del lago artificiale che come un miraggio si materializza e poi svanisce. Una volta svalicato sembra di piombare sul set di un film di guerra; colonne di fumo bianco si confondono con il cielo ora plumbeo. Parcheggiamo alla base del monte Namafjall, dove la piccola pianura di Hverir ci accoglie con un aroma di zolfo al limite del sopportabile. Un percorso ben delineato cerca di evitare le zone dove la crosta, più gialla, è maggiormente sottile e quindi instabile. Tutto intorno a noi piccole e grandi pozze di fango grigio che ribollono nervosamente, mentre il fischio assordante di alcune fessure sul terreno ci rendono consapevoli che il territorio circostante è ancora in continuo divenire. Un paesaggio incredibile, con i colori accesi del Namafjall a far da sfondo. Proprio sulla collina proviamo a salire; tentiamo perché il fondo ghiaioso e ripido dell’inizio trail, non è proprio quello che si potrebbe considerare agevole. Ma in Islanda la natura non ha davvero mai mezze misure. Mentre saliamo alcune piccole crepe del suolo lasciano sfiatare lo zolfo con rumori inquietanti. Il panorama dalla vetta è notevole; sembra di essere in purgatorio perché un versante riflette i colori blu del lago Myvatn e il verde delle colline, mentre da quest’altra parte il grigio delle solfatare si scontra con il giallo dello zolfo e l’ocra delle colline. Un luogo che fa riflettere, tanto. Solo l’orologio mi ricorda che la sera è già ben avanti, se fosse per me resterei qua tutta la notte. Il tempo di rinfrescarci in hotel per poi provare la piccola osteria nel parcheggio antistante. Un piccolo locale stile baita dolomitica, dove però ci accorgiamo ben presto che buona parte dei turisti del lago Myvatn tende a radunarsi per la cena. In effetti si mangia in modo egregio, ovviamente i piatti sono sempre gli stessi in Islanda quindi si parte con una zuppa e si finisce con del pesce o agnello. Ma la peculiarità sono i dolci secchi, quassù al nord sono molto invitanti. Stremati da una giornata di svariati micro trails proviamo a ripiegare in camera; dalla stanchezza ricordo solo di aver chiuso gli occhi e quando li ho riaperti, la mattina era iniziata da non poco.
Prima tappa della giornata il grande vulcano Hverfjall. Da lontano si profila come un’immensa barca con la prua che punta idealmente verso le solfatare di Namafjall. La salita lungo la caldera è una passeggiata di poche centinaia di metri, ma regala punti di vista sul lago indescrivibili. Giunti sulla sommità ci si accorge di quanto si è impotenti nei confronti di un’eruzione; la bocca del vulcano ha un diametro di più di mille metri, ma in tutta la sua drammaticità è affascinante. Le nuvole transitano veloci sopra di noi creando ombre a macchia di leopardo sulla caldera, il taglio fotografico ideale. Un piccolo gruppo di turisti raggiunge la vetta per poi sostare pochi secondi e ridiscendere verso il pullman. Io invece seduto sul ciglio del vulcano mi godo la profondità del paesaggio da un lato, mentre con l’orecchio ascolto il rumore cupo che s’incanala sul fondo della caldera. Riguardo quel nutrito gruppo di turisti rientrare di corsa verso il loro mezzo, senza neppure essersi fermati in vetta per più di un minuto; mi sorge spontanea la domanda, a casa diranno che l’Islanda l’hanno visitata in lunga e in largo? Provo per loro tanta compassione. Ci rimettiamo in marcia nuovamente alla volta della vallata di Namafjall, ma oggi sul versante delle centrali termiche. La strada costeggia un torrente dove l’acqua fuma copiosamente, mai visto qualcosa del genere. Non è altro che acqua proveniente dal suolo che ha già scaricato buona parte del suo calore alla centrale adiacente. Provo a rubare qualche scatto, ma il ciglio non è stabile e già m’immagino a nuotare dentro l’acqua bollente. Pochi minuti di guida e parcheggiamo al cospetto del Viti, un’altra caldera non grande come Hverfjall, ma molto caratteristica perché al suo interno riposa un laghetto dalle acque azzurrissime. Facciamo una passeggiata lungo tutto il bordo, solo così ci si accorge di quanto siano grandi. Il paesaggio su quest’altro lato della vallata è molto più cupo, angosciante, con le luccicanti tubature della centrale che risaltano sul fondo rosso. Ultimo stop di questo soggiorno al lago Myvatn è l’area di Leirhnjukur, sempre nella zona termica del Krafla. E’ una vasta pianura unica nel suo genere, un mix perfetto tra le solfatare di Namafjall e un campo lavico di recente formazione.
Lungo il percorso mi colpisce la fitta coltre di muschio che avvolge un’infinità di piccole gobbe laviche, una visione surreale. Si percepisce subito come ci troviamo in una porzione di Islanda dove potrebbe da un momento all’altro avviarsi un’intensa attività vulcanica. Il fumo esce da ogni punto del terreno, solo una comoda ed elegante passerella in legno permette di superare un campo ricchissimo di zolfo e ferro. Continui cartelli avvisano chiunque del pericolo nel camminare fuori dai percorsi indicati; e anche su questi bisogna fare attenzione a non calpestare zolle chiaramente meno spesse di altre. E’ una passeggiata di qualche km, ma ha dell’incredibile; il cielo azzurro ad intervalli irregolari si ingrigisce per effetto di sbuffi violenti del terreno. Forse l’inferno più volte idealizzato da Dante potrebbe avvicinarsi all’ immagine che ho davanti agli occhi, ma devo ammettere che ha il suo fascino, un po’ maledetto e al tempo stesso intrigante. La puzza di uova marcia è la vera costante di questi campi lavici; più che percorsi, sembrano labirinti data la difficoltà molto spesso di orientarsi tra angoli bui e terreni squartati dal terremoto. Potrei ricondurre l’immagine alla caduta di un grande meteorite, con frammenti sparsi e fumanti ovunque. Sono senza parole. Provo a scattare qualche foto, ma il caldo umido appanna tutto, con buona pace degli obiettivi. Sembro un bambino per quanto mi diverta in questi luoghi, consapevole che nei prossimi mesi dovrò tornare a deperire all’interno di un ufficio fatto di allarmi, sbarre e luci artificiali. Per fortuna concludiamo degnamente questo soggiorno a Myvatn andando un’oretta nelle terme naturali del paese, qualcosa che solo qua si può trovare, Una semplice struttura fa da ingresso ad una spa costruita sopra ad alcuni crateri. Con una temperatura di pochi gradi ci presentiamo al cospetto della piscina naturale, dalle acque color cobalto, vestiti di un misero costume e con la pelle d’oca per il vento gelido. Ma la sensazione di immergersi in una caldera naturale, con l’acqua che in alcuni punti bolle è davvero impagabile. Rimaniamo in silenzio, appoggiati sulla ruvida parete vulcanica, a guardare il sole basso all’orizzonte, ricoperti di silicio come due divinità aborigene; intanto chiudo gli occhi sperando che questo momento non finisca mai.
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giotto |
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