Petra è senza ombra di dubbio una delle motivazioni – se non la principale – della mia visita in Giordania. Un luogo tanto remoto quanto misterioso, culla di leggende e di cultura, di spiritualità e paesaggi incantati. Nascosta in una vallata, rimasta inespugnata persino ai valorosi romani, è tutt’ora raccolta tra i monti Shara e “protetta” dal mondo grazie ad alte pareti rocciose e a valichi assai ardui da superare. Viene considerata una delle meraviglie del nostro pianeta e al tempo stesso appartiene al novero delle “città perdute”, come ad esempio Machu Picchu in Perù. Andare a Petra, è come fare un salto nel tempo data la quasi assenza di strutture moderne al suo interno; questo rende onore allo Stato giordano che ne ha preservato i caratteri originari non cadendo – per ora – nelle logiche dello sfruttamento estremo del turismo. Non sarebbe male un numero chiuso per le visite, come più volte auspicato da tanti archeologi, ma l’area è talmente immensa che l’ultima cosa a cui si pensa è la presenza di altre persone vicino a noi. La valle che ospita l’antica città di Petra è un dedalo di wadi (letti asciutti di fiumi), fino a formare un fiore se visto dall’alto; dove però sui bordi dei petali si trovano templi e abitazioni di antiche popolazioni. Da sempre abitata da nomadi, solo con lo sviluppo delle prime grandi rotte commerciali tra egiziani e popolazioni dell’antica Mesopotamia Petra conobbe il suo sviluppo. Ideale perché a metà strada tra i due regni, ma soprattutto perfetta perché poteva ospitare le carovane garantendo sicurezza alle merci. Petra fu sempre ambita da tutte le civiltà del Mediterraneo; fu oggetto di conquista da parte degli israeliti di Davide prima e di suo figlio Salomone poi; ma anche elemento di contesa da parte di assiri, babilonesi, greci e persiani. Ma i veri fondatori dell’attuale Petra sono i nabatei, una popolazione nomade originaria della penisola araba che inizialmente si stanziò nella vallata di Petra da dove saccheggiava ogni carovana di passaggio. Poi si accorse dell’importanza strategica dell’area e invece che attaccare si limitò a chiedere pedaggio a tutte le merci in transito; questo fattore ne ingrandì notevolmente l’importanza economica in tutta la regione, facendole assumere il ruolo di crocevia obbligatorio per tutte le merci che provenivano dall’Arabia, dall’India e dall’Egitto.
I nabatei divennero talmente ricchi e potenti che riuscirono a respingere gli attacchi dei greci e per quasi due secoli riuscirono a resistere ai romani. Evento che cambiò il destino di Petra fu il terremoto del IV secolo dopo Cristo, che provocò la fuga di buona parte della popolazione dalla vallata; la città di Petra piano piano si spense fino a far perdere le proprie tracce. Solo agli inizi del 1800, grazie prima ad un esploratore svizzero e poi ad un artista inglese che ne immortalò alcuni scorci, il mondo riscoprì un poco alla volta le sue immense bellezze. Con una storia così affascinante e caotica è impossibile non rimanere affascinati da tutta questa zona. Il nostro pullman dopo aver lasciato la lunga e monotona “autostrada del deserto” in poche decine di minuti ci proietta nel “lato” turistico di Petra, Wadi Musa. Un piccolo paese fatto di hotels, agenzie di viaggio e ogni cosa che possa avere attinenza con le esigenze dei turisti; si nota come tutta l’area sia avvolta da un caotico processo di urbanizzazione, data la mole di denaro che deve fluire dal vicino sito archeologico. Petra rimase inespugnata per secoli dagli invasori, spero che resista anche questa volta dall’assalto indiscriminato del turismo. Ci alloggiamo all’hotel Panorama, una struttura sulla punta di una collina, sicuramente qua i piani regolatori o urbanistici sono lungi dall’essere applicati. Con sorpresa noto che al cancello del resort ci aspettano due militari armati di tutto punto; questa è una cosa che non avevo mai provato, villeggiatura con scorta in albergo. Ma capisco anche che un solo petardo scoppiato accidentalmente in Giordania potrebbe creare una strumentalizzazione tale da mettere in ginocchio l’intero motore turistico nazionale; come si suole dire, meglio prevenire che curare. L’hotel è distribuito a terrazzamenti su più livelli; la vista è eccellente su tutte le “jebel” che fanno da schermo a Petra; l’area è meravigliosa con la sua terra rossastra e le guglie delle montagne smussate e modellate da millenni di agenti atmosferici. Sarò malato io, ma mi ricorda tanto gli scenari mozzafiato dello Utah, il che non mi dispiace mai. La sera ormai sta facendo capolino, ma gli ultimi e obliqui raggi di sole fanno splendere la cupola del santuario bianco appollaiata sulla cima del Jebel Haroun. Haroun, come viene detto in arabo, o Aronne nella nostra lingua, era fratello di Mosè e sembra che sia stato seppellito proprio su quella vetta.
E’ ora un luogo sacro per gli ebrei, ma anche per cristiani e musulmani, giusto per ricordare come nella realtà le tre religioni monoteiste abbiano tantissimi punti di contatto l’una con l’altra. Il silenzio nella vallata è davvero magico, la giusta musica per un luogo tanto suggestivo. Il mattino arriva in un batter d’occhio, finalmente si parte; ricontrollo l’attrezzatura fotografica e ci mettiamo in marcia col pullman. La nostra fantastica guida ci evita levatacce mattutine, spiegandoci che tutte le grosse comitive si avventano come sciacalli all’apertura dei cancelli, non lasciando così spazio a foto degne di nota per tutto il tragitto fin dentro al Siq. Ci sarebbe da parlare per ore della nostra guida – Mahdi – che secondo il mio modo di pensare ha reso un viaggio bello in qualcosa di indimenticabile; una persona incredibile, di uno spessore non comune e di una visione dei fatti molto obiettiva. Ogni sito che abbiamo visitato è sempre stato preparato nei tempi e nei modi giusti, senza renderlo il classico giro turistico prefatto; direi che ha dato al viaggio una connotazione più spirituale che semplicemente turistica, prediligendo farci vivere i luoghi invece che solamente vederli. Lo stesso modus operandi è stato utilizzato a Petra. Arrivando con un paio d’ore di “ritardo” rispetto alle folle di turisti ci siamo trovati ad affrontare buona parte del percorso iniziale, quello emozionalmente più suggestivo, in quasi totale solitudine. Il sito di Petra, patrimonio dell’umanità dall’Unesco sin dal 1985, può essere suddiviso in distinte sezioni: la prima, chiamata Bab as-Siq, è quella che dalla biglietteria corre lungo il letto del fiume Wadi Musa – in buona parte asciutto già a tarda primavera. Basse colline di roccia bianchissima si alternano creando un paesaggio fuori dal mondo; se non fosse per i calessi che continuano a fare da spola lungo il ghiaioso camminamento, potrebbe sembrare di vivere in un’epoca remota. Ai lati della strada si stagliano imponenti cubi intagliati nella roccia, mentre poco più avanti è impossibile non rimanere impressionati dalla Tomba dell’Obelisco e dal Triclinio di Bab as-Siq; sono strutture funerarie, legate in modo indissolubile al “dio della terra – o roccia”. Per i nabatei infatti tra gli dei quello della “terra”, chiamato Dushara – che deriva proprio dal monte Shara di Petra -, è il più importante. Il tratto di Bab as-Siq è lungo poche centinaia di metri, fino alla diga sul fiume Wadi Musa; la funzione della diga è appunto di deviare il fiume da eventuali inondazioni (flash flood) violente e imprevedibili nel Siq, che proprio qui ha inizio.
La sezione del Siq sembra proiettarci in un mondo tutto ovattato; una gola profonda, ornata da pareti di arenaria che assume i colori più sgargianti nelle ore serali. Striature rosa, arancione, gialle rendono questo luogo alla stregua di uno slot canyon dell’Arizona; ma la maestosità delle pareti, che in alcuni tratti sembrano chiudersi sopra di noi, è accompagnata dalla bellezza di sculture nella roccia, da canali per l’acqua risalenti a migliaia di anni fa e da ampi tratti di pavimentazione romana che ne documentano l’importanza strategica e commerciale. Stiamo camminando nella storia e nella leggenda, e questo la nostra guida riesce a rimarcarlo grazie ad abili racconti storici o aneddoti locali. E’ tutto quasi irreale, dai colori e soprattutto dal fatto che, oltre al nostro piccolo gruppo, non c’è nessuno. E’ possibile osservare i resti delle numerose dighe di origine nabatea nelle diramazioni del Siq; il tragitto è davvero impedibile, ne vanno assaporati i continui silenzi, ma soprattutto va preso con molta calma – o come dice Mahdi, shuai shuai. La parte terminale del Siq sembra il degno sipario di un teatro; le pareti ora sembrano davvero toccarsi, quasi non lasciando filtrare la luce. Pochi passi e una strana luce rosata sembra uscire dalla montagna, fino a che un bagliore ci acceca. D’incanto appare davanti a noi il “Tesoro”, una struttura su più livelli arricchita di statue, una scalinata e un timpano sormontato da una grande urna. Collocato in posizione perpendicolare alla fine del Siq sembra l’opera di uno sceneggiatore, volta ad impressionare ora i turisti, una volta i viandanti. E’ un’immagine difficile da cancellare dalla mente data la sua bellezza e semplicità; manca un’ora a mezzogiorno e i raggi del sole ne colpiscono la facciata rendendola ancora più luminosa. Non oso immaginare cosa deve essere quando i raggi della sera colpiranno la pareti innanzi il Tesoro, diffondendo un aura rosata a tutte le sculture. Rimaniamo quasi immobili davanti a tanto, ogni parola sarebbe superflua; peccato che ora tutti i turisti della giornata – e sono davvero tanti – si accalchino a fare foto di gruppo rendendo la visione della scultura sempre “inquinata”. In aggiunta cammellieri e venditori di ogni cosa sembrano rimbalzare tra i vari gruppi di visitatori nella speranza di qualche buon affare. La magia del Tesoro lascia quindi il posto al turismo più di gruppo che ci sia; ma la guida tranquillizza tutti, spiegando che questi gruppi il più delle volte effettuano delle tirate estenuanti. Provengono da Aqaba o da Amman, quindi nel primo pomeriggio dovranno rientrare rendendo Petra quasi deserta. Il termine “Tesoro” è solo un nome di comodo, non di origine nabatea, ma dai locali. La leggenda narra infatti che un faraone, che si portava appresso il proprio tesoro, nell’intento di inseguire gli israeliti, per essere più leggero e veloce, avesse nascosto tutti i suoi averi nell’urna sopra il timpano del tempio. Quest'urna, come i visi delle sculture, furono oggetto di deturpazione da parte di cacciatori di tesori e di iconoclasti. E’ così infatti che molti particolari delle sculture sono bucherellati dai colpi di fucile o dalle piccozze.
Alla sua base è possibile affacciarsi in una grande stanza vuota (la cui funzione resta anch’essa un mistero), ma le pareti e il soffitto evidenziano le striature e i colori di questa pietra rosa. La funzione di questo “Tesoro” è ancora ignota; resta il fatto che scavi, ben visibili innanzi l’ingresso, hanno rivelato come ci siano altre strutture tuttora nascoste sotto la sabbia. Dal Tesoro si apre la sezione del Siq esterno; un bel teatro separa Jebel al-Khutbtha dalla strada colonnata. Sono due sezioni ricchissime di monumenti; per mia grande ignoranza, non immaginavo che oltre al Tesoro ci fosse così tanto da fare e da vedere. Invece il Tesoro è come il biglietto da visita alla città di Petra, che è veramente qualcosa di inimmaginabile. Un’intera città costruita con influenze prima elleniche e poi romaniche, raccolta attorno alla strada colonnata; con un po’ di immaginazione si può provare a ricostruire le imponenti strutture che costeggiavano il colonnato, rendendo l’idea della grandiosità della località. Proprio d’innanzi a noi, di fronte alla strada colonnata, si erge Jebel al-Khubtha che annovera alcune tra le più belle facciate dell’intera Petra. Un susseguirsi di scalinate che portano ad altrettanti tombe reali: nell’ordine si possono ammirare la Tomba dell’Urna, detta anche del “tribunale”; la Tomba della Seta con le sue meravigliose rocce striate; la Tomba Corinzia, che assomiglia tremendamente alla facciata del Tesoro; la Tomba del Palazzo, senza dubbio una delle strutture più belle e imponenti dell’intera Petra. Se poi si volesse proseguire lungo lo stesso versante si possono incontrare la Tomba si Sesto Fiorentino e quella carminia. Molto bello è entrare al loro interno e osservare secoli di fuliggine (derivante dall’uso delle strutture da parte delle popolazioni locali), depositata sui soffitti, che amalgamata ai colori della pietra rosa crea effetti dalle gradazioni cromatiche meravigliosi. E’ molto interessante notare come questi templi, essendo rispetto al Tesoro, rivolti verso l’ampia vallata, col tempo siano stati segnati dagli agenti atmosferici. Da Jebel al-Khutbtha si gode un panorama su tutta l’area centrale di Petra, con in bella mostra la strada colonnata e sullo sfondo il Qasr al-Bint, o chiamato “Palazzo della figlia del Faraone”. Giusto il tempo di una sosta al ristorante Basin a fianco del museo - da provare gli ottimi falafel - che ci rimettiamo in marcia alla volta del “Monastero”; una camminata di un’oretta circa, tutta in salita e in alcuni punti con gradini scivolosi a causa della sabbia. E’ una passeggiata - assolutamente da fare - da affrontare preferibilmente al pomeriggio, visto che rimane in larga parte all’ombra. Durante l’ascesa si possono ammirare scorci di paesaggio sottostante, petroglifi o strutture nabatee minori. Quando sembra non arrivare mai la fine del trail, una strettoia fa intravedere un grande spiazzo con un piccolo punto di ristoro sullo sfondo; il tempo di girarci ed ecco davanti a noi la facciata del Monastero. Imponente, immensa nei suoi quasi 50 metri di altezza; la sua conservazione è eccellente, e, come il Tesoro, ha la sua “urna” ben in vista sopra al timpano.
Lo stile per tutte le tombe nabatee è pressoché sempre il medesimo; ciò che le differenzia sono le location ove vengono edificate e quindi il tipo di roccia che le costituisce. Ad un tratto un ragazzo comincia a compiere balzi tra l’urna e le strutture del tempio; una follia pura, visto che il salto è davvero notevole ad una altezza di parecchie decine di metri. Solo leggendo la guida apprendo che è un modo di mettersi in mostra da parte dei ragazzi locali; un bel modo di farsi belli, non c’è che dire. Uno spot da dove rubare foto da cartolina del Monastero è in una piccola grotta poco distante dal bar; ma in verità tutta la zona è ricca di bizzarre formazioni rocciose e altre piccole costruzioni di origine nabatea. Ma assolutamente da non perdere è la vista sulla Wadi Araba, poche centinaia di metri dopo il tempio; è una piccola passeggiata ben indicata da cartelli e cairns a terra. Ma ora è meglio rimettersi in marcia alla volta del Tesoro, visto che vorrei vederlo con i colori della sera; il problema è che l’ombra avanza velocemente nella vallata, date le ripide montagne che ne fanno da cornice. La discesa ovviamente risulta più faticosa e soprattutto scivolosa, ma in meno di un’ora raggiungiamo la strada colonnata; tutta la vallata ora si sta accendendo con un colore rosato, rendendola totalmente diversa da quella visitata a pranzo. Anche il caldo torrido della mattina comincia a lasciare il posto ad un fresco zeffiro serale. Come d’incanto tutto il trambusto e la calca di turisti che c’era al mattino, ora è svanito; potenza dei tour andata e ritorno in giornata. Adesso si riesce davvero a percepire l’atmosfera magica di questo luogo unico. Il tempo di immortalare la vallata ora tinteggiata di tonalità calde e arriviamo d’innanzi al Tesoro; la prima cosa che mi colpisce è il silenzio. Poche ore prima assomigliava ad un mercato rionale, ora siamo invece solo in due: la situazione è quasi surreale. La facciata del Tesoro, come un’attrazione serale, ora ha la sua vera colorazione fatta di rossi accesi e striature rosate; non ho parole. Solo l’obbligo di ricongiungermi col gruppo all’ingresso del parco mi porta a staccarmi da una simile visione. Cammino all’indietro fino a che il Siq, come in un piccolo teatro, chiuda le sue tende nascondendomi un Mondo che forse non vedrò mai più.
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giotto |
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