Oggi è una grande giornata, o quanto meno spero la sia come da programma. Credo che una buona catena di hotel si veda oltre che per la cura e pulizia delle camere, anche e soprattutto per la qualità delle colazioni. Alla catena Sleep Inn in materia breakfast non si può sicuramente muovere alcuna obiezione; accogliente saletta con ampia scelta di pietanze, oltre al classico televisore fossilizzato sulla CNN. Lo schermo sempre acceso penso sia una delle caratteristiche degli americani, ovunque si vada. Ma è ora di prepararsi, questa mattina andrò a Canyonlands National Park, precisamente nella sezione di Island in the Sky. Finalmente, perché sono passato da Moab più volte negli altri anni e non sono mai riuscito ad andarci; vuoi per il poco tempo, vuoi per mia ignoranza. Dopo essermi lustrato gli occhi guardando le foto di questo parco su internet e sulle guide, oggi riuscirò a colmare questa mancanza. Il parco è di per se immenso e per questo è stato suddiviso in più sezioni: Island in the Sky a nord, the Needles a sud e the Maze a ovest; a questi andrebbe aggiunta la sezione di Horseshoe Canyon, con i suoi antichi e misteriosi petroglifi. Tutte le parti hanno specifiche entrate, molto lontane le une dalle altre il che non permette di farle in giornata. La parte nord è la più turistica essendo l’ingresso poco dopo l’Arches National Park; le altre sezioni sono invece più distanti da Moab e per essere apprezzate necessitano di escursioni mirate. Prendiamo il nostro fuoristrada e ci mettiamo in marcia lungo la Main Street; fa impressione vedere tanto traffico in questa sperduta cittadina del far west. Dall’ultima volta che venni qua, nel lontano 2002, i confini si sono ulteriormente allargati; una vera località costruita per i turisti e le loro esigenze. Un goccio di benzina, giusto per non passare il pomeriggio a spingere l’auto; certo che negli Usa il carburante costa veramente poco, peccato che poi le auto consumino talmente tanto da azzerare la convenienza. Non capirò mai perché occorra avere una cilindrata a tripla cifra per percorrere, se va bene, una highway a sessanta miglia orarie. Per fortuna anche oggi la giornata è perfettamente soleggiata con una visibilità ottima; già mi pregusto i panorami dalle alte mese del parco. Scorriamo la US191 fino ad incontrare l’uscita di Arches National Park, oggi pomeriggio ci lanceremo lungo il trail che porta al Delicate Arch.
Ecco l’uscita per Canyonlands; una lunga strada fatta di tornanti che lentamente ci portano sulla sommità della mesa. Lungo il tragitto noto la deviazione a Dead Horse Point State Park, altra notevole perla del southwest. Mezzora di auto e giungiamo al visitor center del parco dove riceviamo l’immancabile brochure del parco. Mi piace come gli americani presentano i loro parchi, sembra quasi che quando si entra si stia visitando una boutique di bellezze naturali e questo gli fa molto onore; sempre puliti e tenuti bene, il più delle volte anche silenziosi e riservati. Non c’è che dire, sotto quest’ottica sono davvero ben organizzati. Un colpo d’occhio alla mappa e mi accorgo subito che di trail ce ne sono veramente pochi in questa sezione di Canyonlands, mentre i vistapoint sono ovunque; ottimo per la Babi, questa mattina si camminerà poco. Il primo panorama che andiamo ad “affrontare”, è quello antistante il visitor center: lo Shafer Canyon Overlook. Abbastanza inquietante, con uno strapiombo vertiginoso; davanti a noi si apre l’universo mentre sempre più nitida sotto ai nostri piedi vediamo lo Shafer Trail serpeggiare fino alla vetta. Una piccola strada in terra battuta che sembra appiccicata al versante della mesa; da paura pensare di percorrerla, ma ancora di più immaginare di accostare sul bordo per far passare un veicolo proveniente dal senso opposto. La peculiarità di Canyonlands è che i vistapoint sono quasi tutti liberi, nel senso che raramente ci sono ringhiere o balaustre, e quelle poche presenti sono talmente basse che rendono ogni scatto un piccolo brivido. Risaliamo in auto e dopo pochi minuti ci lanciamo in una breve camminata che ci porterà ad uno dei paesaggio più suggestivi di tutto il southwest, Mesa Arch. E’ un escursione di pochi minuti su terra rossa e rocce ben levigate ormai dai tanti visitatori quotidiani; ma una volta aggirata la piccola collinetta lo spettacolo è grandioso. Le foto e la fantasia non sono nulla in confronto alla piena di emozioni che la realtà riserva; un grande arco sopra di noi funge da cornice allo spettacolo di Canyonlands. Sulla sinistra è ben visibile Washer Woman Arch e devo dire che mai un nome è stato più appropriato; sullo sfondo le alte mesa del parco mentre in basso si intravede la White Rim Road e il fiume Colorado. Giusto qualche turista noioso che cerca di unire il proprio viso al Mesa Arch riesce a rompere il doveroso silenzio che avvolge lo spettacolo; per il resto si resta senza fiato, attoniti a tanta bellezza. Pochi passi in avanti e il precipizio ricorda di come siamo tutti precari. A fatica ci stacchiamo da questa strepitosa vista; riprendiamo il tragitto in auto fermandoci ad altri overlook come il Buck Canyon e il fantastico Candlestick Tower.
Il vero tuffo al cuore avviene al Grand View Point; quasi fossimo sulla prua di una nave ci troviamo protesi in mezzo ad un dipinto fatto di canyon e mesa, segnati sullo sfondo dai fiumi Colorado e Green River a destra. Il senso di piccolezza in noi è devastante, quasi umiliante; il vento è quasi assordante in questo punto. Peccato non riuscire a vedere il punto d’incontro dei due fiumi, la famosa Confluence, terrore di chi fa rafting a causa delle fortissime correnti. Il tempo sta letteralmente volando, e questo pomeriggio ho un appuntamento a cui non posso mancare. Facciamo rotta sull’altro overlook più famoso del parco, il Green River. Situato alla stessa altitudine del Grand View offre però una vista meravigliosa sul Soda Springs Basin, caratterizzato da tanti canaloni che idealmente disegnano una mano. Un piccolo gruppo di Harley spezzano il silenzio del luogo. Siamo quasi giunti al termine di Island in the Sky, una ipsilon stradale disegnata sul crinale del parco. L’ultima tappa è Upheaval Dome, una specie di cratere le cui origini sono ancora oggetto di studi; impatto da meteorite o eruzione? Resta il fatto che un piccolo trail, corto ma ripido, ci porta su un promontorio dove si riesce a vedere la strana formazione rocciosa. Nulla di che, se devo essere sincero, ma mi sarebbe dispiaciuto saltare questo punto così insolito. E’ ora di rientrare, sono da poco passate le due del pomeriggio; abbiamo sforato tutti i budget previsti, ma è sempre bello dilungarsi su tali paesaggi. L’unico rammarico è quello di non aver potuto toccare con mano tanta grazia. Nel senso che si rubano ottimi scatti, ma è sempre il solito discorso: fare solo overlook, a mio parere, crea superficialitànell’esplorazione di un parco. Certo che sarebbe stato meglio immergersi nello Shafer Trail o ancora meglio nella White Rim Road magari con una sosta al Musselman Arch, ma va detto che sono percorsi destinati solo a viaggiatori e guidatori esperti date le asperità e pericolosità del terreno. Sicuramente in un altro futuro viaggio, in questa porzione di Utah, un paio di giornata alla sezione di Needles non me la cava nessuno.
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giotto |
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