Con i colori e la maestosità del Grand Canyon impressi negli occhi e nell’anima abbiamo da poco superato il piccolo paese di Jacob Lake; a destra si tornerebbe a Marble Canyon prima e Page poi e considerando il mio mal d’America cronico non sarebbe male già rifargli una visita; a sinistra si prosegue all’interno della Kaibab National Forest in direzione Kanab nello Utah. Quando organizzo un giro nel south west degli States sento sempre qualche amico ripetermi che vado troppo in mezzo ai deserti. Deserti? Se potessero vedere dove mi trovo penserebbero che sono negli Stati del north west invece che in Arizona; per non parlare della temperatura, visto che ieri sera, in pieno agosto, raschiavamo i dieci gradi centigradi. Comunque poco più di un’ora di viaggio e rivediamo affiorare all’orizzonte le rossastre Vermillion Cliffs; ci fermiamo in un vistapoint abbastanza famoso nell’Arizona Strip, il Le Fevre Overlook. Tutte le Vermillion sullo sfondo fanno da cornice alla piccola cittadina di Freedonia. La strada è praticamente tutta dritta e anche un po’ monotona; attraversiamo in fretta il piccolo paese di Freedonia, abbastanza anonimo da non meritare una fermata. La speranza è che Kanab non si riveli troppo “spenta”, in fondo qualche luce mi piace sempre vederla. Appena passata Freedonia il paesaggio muta radicalmente, facendoci piombare in mezzo a butte che si ergono sopra il piccolo Kanab Creek. Il paesaggio è stato più volte usato dai registi di Hollywood per immortalare scene di films western, e come dargli torto? Già immagino su questi spigolosi promontori orde di indiani agguerriti.
Arriviamo a Kanab nel primo pomeriggio, giusto in tempo per visitare il centro del paese addobbato a festa per una manifestazione di cowboys locali. Tanti piccoli gruppi di mormoni spiccano in mezzo alla folla; le donne tutte vestite di blu, con gonne lunghe e cuffiette in testa; gli uomini in abito scuro e barba lunga. Mi sembra quasi di viaggiare nel tempo, ma tutta la zona compresa tra Freedonia, Colorado City e Kanab è un antico avamposto mormone; oltre ovviamente a ricordare come tutto lo Utah sia mormone. Gente tranquilla, educata e rispettosa. Il centro cittadino è un po’ come una piccola Moab, con negozi per tutte le esigenze dei turisti: dalle escursioni alla ristorazione, dall’abbigliamento specifico all’elettronica. Un paese insomma altamente attrezzato dove poterci trascorrere senza troppe ansie un paio di giornate. Gli alloggi non sono tanti, quindi sono felice di aver fermato una camera; la fila al check in del mio motel mi fa capire che parecchi procederanno poi verso la più vicina cittadina alla ricerca di un letto; alla faccia dell’on the road tante volte e a sproposito decantato! Smolliamo in fretta e furia i bagagli, obiettivo del pomeriggio è il Coral Pink Sand Dunes State Park, poco distante da Kanab. Il problema di passare in giornata dall’Arizona allo Utah è il cambio di fuso orario. Spiego meglio: anche se i due Stati sono alla stessa longitudine usano fusi differenti, ma il problema non si ferma qui; all’interno della stessa Arizona le riserve indiane seguono il fuso dello Utah. Quindi vi capiterà ad esempio a Page di cambiare orario nel giro di pochi km per più volte al giorno. Ecco perché ci tuffiamo al Coral Pink Park, visto che l’ora in più dello Utah ci ha proiettato già alle sei di sera.
La strada è veramente solitaria, a tal punto che poco prima dell’ingresso al parco mi tocca scendere dall’auto e letteralmente spingere via un paio di mucche che oziose ci guardavano dal centro della carreggiata. Già mi era successo anni fa nel giro tra Zion e Bryce, ma davvero questo angolo di pianeta ha i secondi che scorrono più lentamente. Prima del parco notiamo un piccolo spiazzo con allineati tanti motori quad; caratteristica peculiare di Coral Pink è di essere adibita per il divertimento con le moto a quattro ruote motrici. Pochi dollari di ingresso ed entriamo; giusto il tempo di settare la macchina fotografica e cosa trovo sul percorso ancora lastricato del parcheggio? Un bell’esemplare di serpente a sonagli, tutto avvitato su se stesso. Un piccolo passo indietro per lo spavento, ma subito comincio ad avvicinarmi per immortalarlo. Odio i rettili, ma se devo essere onesto hanno un fascino tutto particolare. Pochi secondi e il povero rattle snake capisce che davanti ha qualcuno più scemo di lui, visto che lo sta bombardando di foto e allora decide che è meglio fare rotta verso luoghi più riservati. Davanti a noi Coral Pink splende sotto i raggi del tramonto in tuo il suo splendore. Incastonate tra le rocce dello Utah, alte dune di sabbia rossa si ergono al centro della vallata. Certo che la natura quando vuole sorprendere lo fa sempre nel modo migliore e soprattutto nel luogo più inusuale. Questa è la fine che faranno tra migliaia di anni i rossi pinnacoli di arenaria dello Utah, immense distese di soffice sabbia rossa. Non posso spiegare la bellezza delle tonalità rosse delle dune colpite dagli ultimi raggi della giornata. Mi addentro sopra le colline rosa alla ricerca di qualche punto di vista ancora più fotogenico di quelli godibili da un piccolo palco posto all’ingresso del parco. Alcune zone sono immacolate e senza segni sopra la sabbia; altre recano ancora le impronte dei pneumatici di qualche dune buggy. La mia intrepida compagna, dopo l’incontro del serpente preferisce seguire con lo sguardo da lontano. Non le do tutti i torti, visto che i segni sulla sabbia sono molte volte riferibili a qualche “rettile” passato di lì. Ma in fondo è casa loro; piante di yucca crescono puntellando le fragili dune.
L’effetto più bello è però quello che il vento crea alzando aliti di sabbia dalle punte delle dune, incantevole. E’ un piccolo parco, che non necessita attrezzatura o doti fisiche; ma è un luogo che a fine serata può regalare grandi emozioni, proprio quello che cerco da questo viaggio. Il silenzio è quasi assordante, se si eccettuano le grida della mia compagna che, manco fossi un bebè, mi “ricorda” di non allontanarmi. Fa piacere essere desiderati, ancora di più quando l’unica chiave dell’auto la tengo in tasca io. Ormai la luce si fa fioca e le ombre sempre più lunghe; è meglio fare marcia indietro in direzione Kanab, onde evitare di non trovare una tavola calda dove consumare il pasto serale. Optiamo per un indirizzo consigliatomi da Carlo, un locale molto carino con un intraprendente proprietario. Incurante della nostra provenienza linguistica comincia a snocciolarci con la velocità di un californiano tutto ciò che è fuori menù; praticamente tutto. Come sempre, con molto imbarazzo, cerchiamo di non far capire che non siamo molto pratici in termini di nomenclatura culinaria americana. Riusciamo comunque a barcamenarci e ci orientiamo per un ottimo buffalo steak, accompagnato dall’immancabile baked potato. Sento spesso denigrare la cucina americana; troppo spesso l’arroganza dei turisti li porta a richiedere pietanze comuni in Italia, ma inusuali all’estero. A parte la mancanza della pasta, cosa che non fa male per una ventina di giorni all’anno, devo dire che negli States ho sempre mangiato bene; dal pesce arrosto della Florida alle bistecche del southwest, oppure dalle aragoste del New England ai piatti eccellenti a base messicana. Se devo essere onesto, in un viaggio di tre settimane, faccio fatica a contare più di una cena a base di hamburger. Il trucco per mangiare bene negli States è chiedere, ove possibile, di lasciare i piatti senza “dressing” cioè senza condimento; poi un filo di olio e aceto e il piatto è pronto. La serata scivola via leggera, chiacchierando con due coppie di arzilli vecchietti nel tavoloaccanto. E’ impressionante come gli americani socializzino nei ristoranti, o comunque nei locali pubblici. Intanto la notte cala su tutta la Kane County, è ora di battere in ritirata; domani ci aspetta un tappone pesante. Percorreremo la scenic byway Utah 12, forse una delle strade più belle al mondo.
|
giotto |
|