E’ mattina presto e stiamo già sobbalzando ad ogni piccolo avvallamento della strada, direzione le lande desolate di Landmalaugar. Ultimo giorno nella capitale Reykjavik, ma a conti fatti giusto per la cena, dato che l’escursione odierna occuperà tutta la giornata. I tour in Islanda sono estremamente costosi, un po’ sulla stessa linea di quelli africani; ma ci sono piste e strade che conducono verso l’interno e possono essere alquanto impegnative, dove i rischi di foratura o rottura di semiassi sono frequenti. Ecco perché ho preferito prenotare un tour, che sulla carta dovrebbe essere ben organizzato ed ristretto nel numero dei partecipanti. Usciamo in pochi minuti dal traffico inesistente della capitale; è bello notare come per la nostra guida invece il traffico oggi sia sostenuto. E’ evidente che non è mai passato dalla nostre parti, un lunedì mattina magari con la pioggia; beato lui. Un’ora di strada e un paio di stop per recuperare alcuni clienti e finalmente si taglia verso l’interno. Il verde islandese svanisce a favore di un paesaggio rude, fatto di caldere spezzate, campi lavici e rocce vulcaniche che affiorano un po’ ovunque. La prima fermata ci proietta in una piccola cascata nei pressi di Pjodveldisbaer dove il rumore è assordante, grazie anche all’effetto eco della piccola vallata. Colonne di nerissimo basalto ricoperte da uno spesso muschio, creano contrasti strabilianti con il blu del cielo e il bianco spumoso dei flutti. Il vento è fortissimo, mentre il meteo è altamente variabile; niente pioggia, ma il sole e il nero più cupo si alternano con una rapidità impressionante. Altro breve stop presso al sito archeologico di Pjodveldisbaer dove i resti di una dimora vichinga sono stati replicati con delle abitazioni dai classici, per loro, tetti coperti di vegetazione. Sullo sfondo un’altra piccola cascata sembra incorniciare al meglio il paesaggio.
Non è che odi i tour, ma fosse per me sarei già andato diretto alla meta senza tante soste intermedie; viaggiando si aprono dinnanzi a noi dei panorami da cartolina e non potersi fermare è per me come una pugnalata al cuore. Sono passate parecchie ore dalla partenza e a parte una fermata per far deambulare un paio di turisti al seguito, non siamo ancora giunti a destinazione. Con lo scorrere del tempo mi sembra di essere sempre più a Mordor, le infernali terre narrate nel “Signore degli Anelli”. Sembra infatti che lo scrittore Tolkien avesse ideato la trilogia dopo un lungo viaggio in queste lande desolate; e onestamente, avendone letto il libro, mi sembra di rivedere le gesta su queste montagne frastagliate da eterne battaglie tra ghiaccio e fuoco. Ci fermiamo in un paesaggio che direi epico, ogni fotografia non riuscirebbe a descrivere l’immensità che viviamo; una vallata formata da morbide colline nere, levigate dalla sabbia scura dei vulcani. Sembra quasi che la Terra si sia sottoposta ad un accurato lifting, terrificante ed incantevole. Un cratere proprio a pochi passi dalla Jeep funge da alveo ad un lago chiamato “ugly pool”, uno specchio scuro in mezzo a riolite e muschi. Resterei a respirare quest’aria per ore, ma ovviamente il tour deve ripartire, con mio grande entusiasmo. Percorriamo una pista che sembra un campo di battaglia, disegnata da una piccola striscia di sabbia che zigzaga in mezzo a rocce appuntite che affiorano minacciose da ogni dove. Il van ballonzola continuamente, facendo sembrare le buche alla stregua di fosse oceaniche; non si vedono altri veicoli nei dintorni, giusto in lontananza qualche scia fumosa fa presagire forse un altro intrepido viaggiatore. Affrontiamo un paio di guadi, di cui uno abbastanza impegnativo immagino dal livello del fiume che arriva a mezza portiera; bellissimo. Giungiamo a destinazione, una piatta vallata con un campo tendato e un paio di bus semi abbandonati adibiti a minimarket e bar; tutto intorno a noi basse e appuntite colline, esibiscono tutti i colori classici dei terreni vulcanici: il rosso e arancio della riolite, il nero del basalto, il giallo dello zolfo e l’immancabile verde brillante del muschio. Pulisco l’attrezzatura fotografica, perché qui c’è davvero da divertirsi. La guida sentenzia che abbiamo un’ora e mezza per o passeggiare in uno dei numerosi percorsi circostanti oppure immergersi in una pozza di acqua calda scaldata dalla terra in modo naturale. Mi ritrovo ad essere l’unico che si avventura per queste lande che sembrano uscite dalle bozze di un disegnatore di cartoni animati. La temperatura è sui dieci gradi e ogni tanto una spruzzata di pioggia accompagnata da forti raffiche di vento mi obbliga a fermarmi lungo la scalata di qualche collina. Più si sale e più la vista rende omaggio a questo luogo; avevo letto della bellezza del Landmalaugar, ma non credevo di trovare colori così in natura. Peccato che il sole non ne voglia sapere di uscire, perché qualche squarcio avrebbe regalato dei bei contrasti a terra. Dietro di me alcune colline fumano da camini naturali, mentre più in basso un’antica colata lavica sembra un campo minato per chiunque. Non oso immaginare cosa incontrerò nei prossimi giorni lungo l’anello islandese.
Sicuramente la mia è stata una visita molto fugace e superficiale, anche perché di passeggiate non se ne possono fare in poche ore; giusto seguire il fiume per un pezzo o scalare un paio di alture per aumentare l’angolo visuale. Ma la vera bellezza è il percorso che si snoda fino a Porsmork e Skogar, considerato uno dei trails più belli del mondo; ma occorrono alcuni giorni e soprattutto attrezzatura idonea da campeggio. Provo a memorizzare quanta più bellezza possano contenere i miei occhi, consapevole che molto difficilmente tornerò qui in futuro. Infreddolito, ma felice corro in fretta per non perdere il tour; qua non si fanno troppi problemi, all’ora pattuita partono con o senza, tanto ho già pagato. Il ritorno è ugualmente emozionante, perché proseguiamo lungo la pista del Landmalaugar, fino ad incrociare il temuto vulcano Hekla. Poche lettere che evocano negli islandesi più leggende di una figura mitologica; si riteneva addirittura fosse la porta dell’inferno. E’ completamente avvolto da nuvole, infatti il suo nome significa “incappucciato”. Scendiamo lungo il campo lavico di una delle sue tante eruzioni, immagino anche recenti; un vento gelido e irregolare rende difficile ogni movimento. Il silenzio circostante fa presagire che non ci sia forma di vita nel raggio di km; stupefacente e inquietante. Fare fotografie è spesso arduo, perché il vento soffia a raffiche e quello che trova a terra lo scaglia contro i malcapitati, in questo caso mi ritrovo coperto di polvere nera. Gran bel giro, peccato non aver approfondito alcune tappe, ma onestamente la complessità dei percorsi andavano affrontati con diversi giorni a disposizione. Lungo rientro verso la capitale, con qualche ora di ritardo rispetto al programma del tour. Giusto il tempo di mangiare qualcosa di veloce in centro e via a letto, domani si parte con la nostra macchina, finalmente liberi di esplorare senza tempi imposti.
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giotto |
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