Scivoliamo veloci lungo l’Highway Utah 24 in un paesaggio a metà tra il marziano e l’epico. Una landa pianeggiante fatta di terra rossa intervallata ogni tanto da qualche monolite frastagliato che sembra ambire al cielo. Avrei voglia di fermarmi ad ogni deviazione, perché ogni angolo di south west riserva emozioni, colori e immagini ineguagliabili. Ma se do retta al cuore non torno più in Italia; meglio lasciare il navigatore impostato su Moab. Poco dopo aver lasciato Goblin Valley State Park incrociamo una diramazione che porterebbe ad uno dei luoghi più isolati, misteriosi e affascinanti di tutta America: l’Horseshoe Canyon, una pendice remota di Canyonlands National Park, e la sua Great Ghost Gallery. Ma per raggiungere questa location, oltre a parecchie miglia in solitaria, occorrerebbe poi lanciarsi in un faticoso trail da fare, se non erro, solo in compagnia di un ranger preventivamente prenotato per il tour. E via, altra annotazione per il prossimo viaggio; per quanti luoghi veda, altrettanti ne vengono fuori da visitare in futuro: un dolce calvario. Sul lato destro della strada si cominciano a intravedere le alte mura di Canyonlands che strada facendo si fanno sempre più minacciose e imponenti. Intanto la scenic route UT24 lascia il posto alla trafficata e impersonale Intestate 70 che taglia gli States quasi in due, partendo da Baltimora sulla east coast e che va a morire proprio nello Utah centrale. Giusto poche miglia prima di raggiungere un’altra epica strada, la US191, che segna tutto l’immenso comprensorio di parchi attorno a Moab per correre poi fino al Canyon de Chelly prima e la “mother road” Route 66 poi. Miglio dopo miglio il paesaggio muta, mentre sulla nostra sinistra inizia l’Arches National Park; chissà se riesco ad scorgere qualche arco già dalla strada? Nulla, la cortina di alture rende impenetrabile alla vista questo meraviglioso parco. Raggiungere Moab, all’interno di un giro nel southwest, è sempre una fonte di sollievo; questa cittadina è infatti ottimamente attrezzata per poterci trascorrere svariati giorni. Nel suo perimetro si annoverano ristoranti che coprono le più differenti esigenze gastronomiche; inoltre i locali permettono di cenare anche a serata inoltrata. Quest’ultima particolarità, quasi unica in tutto il sud ovest americano, allunga idealmente le giornate di vacanza senza per forza farci rintanare negli hotel già alle nove di sera.
Scorriamo la Main Street lentamente, affiancati da un mega pick-up con sopra un gommone da rafting; quasi mi dimenticavo che nel tratto del Colorado che corre lungo la UT128 ci sono un paio di grossi punti di partenza per escursioni sulle rapide; affascinante. Molliamo tutto il bagaglio in hotel, uno Sleep Inn ottimamente posizionato e attrezzato; grande consiglio di Pier. Causa problemi tecnici all’Ipod, ho bisogno di trovare un general store dove scaricare le memory card della mia Canon. A Moab la scelta è veramente ampia, fattore molto importante; scivolando lungo la Main Street ci colpisce uno store che sembra in fase di inaugurazione; striscioni colorati ovunque, palloncini legati ad ogni paletto e gentili vecchiette che invitano ad entrare: come adoro lo spirito d’iniziativa americano. Al suo esterno si cucinano salsicce e altre cibi dietetici sotto un sole cocente e soprattutto nel primo pomeriggio; non oso pensare il livello di colesterolo. Ci sarebbe da parlare per ore di cosa siano i general store americani; dire il paradiso è poco. In Italia la scelta è già ampia in tutti i settori; negli Usa moltiplicate per dieci ogni aspettativa. Cerco un pacco di biscotti? Qui ne trovo uno scaffale lungo cento metri; voglio delle vitamine? Un’ala intera del supermarket è adibito a questo. Idee chiare dico sempre a Barbara prima di entrare, altrimenti finiamo le vacanze qua. Ma la cosa più comoda di quasi tutti i general store americani è quello di avere dei piccoli totem attrezzati per convertire le memory card in semplici cd rom; modo molto economico ed immediato per immagazzinare tonnellate di foto. Giusto il tempo di farci un panino al Subway dentro allo store che ci fiondiamo in hotel; la mia fedele compagna di avventura oggi sta accusando le fatiche di questa “leggera” vacanza. Meglio non spremerla anche nel tardo pomeriggio, dato anche il caldo torrido che Moab ci propina; domani abbiamo Canyonlands al mattino e Delicate Arch al pomeriggio, se mi si ferma ora sono finito. Decido di lasciarla in hotel, ma io riparto subito. Voglio farmi un bel giro sulla UT128, un’area troppo spesso ignorata dai turisti mordi e fuggi; giusto per dare l’idea del posto ricordo solo che assieme alla zona di Kanab e della Monument Valley, rappresenta lo scenario di tutti i films western. Inoltre è un’area che corre lungo il fiume Colorado, quindi emozioni su emozioni. Arrivarci è velocissimo visto che basta fare rotta verso la parte nord di Moab e girare poco prima dell’entrata dell’Arches National Park. Una stretta gola in ombra fa da cassa armonica al rumore del fiume Colorado che scorre alla mia sinistra; il suo colore verde rossastro non è che sia proprio un bell’invito a farci un bagno. Dopo poche miglia incontro l’imbocco al Negro Bill Canyon; questa è una bella escursione a piedi, ma da sola occuperebbe una giornata intera; ecco un altro punto da fare in futuro.
Proseguo lungo i leggeri sali scendi della strada, con il sole che comincia ad allungare le ombre delle pareti; è troppo rilassante guidare su questa strada, peccato non avere una cabriolet per apprezzarne tutte le peculiarità invece che sporgermi continuamente da un finestrino all’altro. Pochi minuti e sulla mia destra si apre la splendida Castle Valley; una strada battuta che corre lineare in mezzo ad una piccola Monument Valley; castelli di rocce si arroccano su ogni guglia. Il paesaggio è realmente magico, forse uno degli scenari più belli che abbia mai visto negli States; scendo dall’auto estasiato. Non c’è nessuno, non passa una macchina da queste parti; tutti vanno in direzione dei classici parchi naturali. Ma Moab tutta è un parco naturale; una cittadina che come Page necessiterebbe di almeno sei – sette giorni per essere un minimo visitata. Intanto piccoli mulinelli di sabbia alzano la terra rossa rendendo il paesaggio ancora più country di quello che è. Giusto il tempo di immortalare in qualche foto l’atmosfera magica della Castle Valley che mi rimetto in marcia lungo il Colorado. Una decina di minuti e raggiungo le Fisher Towers, o quanto meno le vedo da lontano; una breve ma irta strada di sassi mi porta alla loro base. Quante volte queste torri le ho ammirate sulle guide e nelle foto, per quanto tempo ho sognato di essere qua a contemplarle. A dispetto di altre località lungo la UT128, qua il parcheggio per il trail è abbastanza ricco di vetture. Purtroppo non ho tempo per farmi le miglia che disegnanerebbero un circle attorno alle torri, ormai la sera sta prendendo il posto al pomeriggio. Ciò non toglie che due passi di avvicinamento li possa fare, giusto per togliermi la voglia. E’ però ora di tornare in hotel, la Babi si starà chiedendo che fine ho fatto; ma qua il tempo è sempre relativo. Parti per fare un giro di un’oretta e ti ritrovi intrappolato in un buco nero fatto di spot bellissimi che ti assorbono per un pomeriggio intero; e dire che non ho fatto altro che fermarmi qua e là senza addentrarmi nel profondo di ogni location; da vedere ce ne sarebbe per una giornata intera. Ripercorro aritroso questa magnifica scenic byway apprezzando angolazioni differenti di questa ansa del fiume Colorado; ormai i colori sono sempre più pallidi, sbiaditi dal crepuscolo. Che meravigliosa terra, che indimenticabile esperienza.
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giotto |
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