In Islanda, in tema di design alberghiero, hanno gusti davvero particolari. Strutture semplici, lineari, con arredi dove il legno regna padrone. Il nostro hotel a Kirkjubaejarklaustur è un piccolo esempio di edilizia eco-compatibile, anche a livello di impatto visivo. Inutile dire il contrario, ma dormire in alloggi accoglienti concilia meglio il soggiorno e allieta il viaggio. Un’ottima colazione affacciati a una grande vetrata che spazia sui ghiacciai circostanti e tanto, tanto verde incorniciato da un cielo blu scuro. Oggi tenuta tecnica, si va a camminare sul ghiacciaio; direi che ci attendiamo un crollo delle temperature e un incremento delle avversità meteo dato il look polare che stiamo esibendo. Speriamo, altrimenti sembreremo due alieni in piena spiaggia a ferragosto. Il percorso tra l’hotel e l’ingresso del parco è relativamente breve, regalandoci scorci notevoli sui sandur che in questa parte dell’Islanda spesso hanno le sembianze di cunette ricoperte da un soffice e fitto muschio verde e arancio; camminarci sopra a prima vista può sembrare divertente, ma buche e rocce appuntite possono causare seri infortuni al maicapitato che ci si avventura. Sulla nostra sinistra le highiand lineari di Skogar ora sono invece molto frastagliate, creando dei fiordi profondi ma senza il mare che li lambisca. Passato l’ultimo promontorio, il parco nazionale si apre davanti a noi in tutta la sua maestosità. Vette innevate, lingue di ghiaccio che scendono fino a valle, grandi praterie verdi; sembra un paesaggio di matrice fantastica, per di più ritoccato pesantemente al computer. Ma è tutto vero, perché l’Islanda regala colori vivi e scenari forti il tutto raccolto in poche centinaia di km. Lasciamo la macchina al visitor center, affoliato di van e camper; il parco nazionale di Vatnajokuil oltre ad essere il più grande d’Europa, rappresenta anche un classico luogo di escursione per la popolazione locale. Le indicazioni per i trail da fare in ‘giornata’ sono davvero ben indicati da mappe, cartelloni e indicazioni lungo i percorsi. Il cielo nel frattempo si sta chiudendo alzando la temperatura in modo sensibile. I trails sono tanti e molti si addentrano per alcune decine di km verso l’interno, presupponendo anche una sosta notturna. Noi ci accontentiamo di fare un percorso circolare che lungo la strada dia una visione d’insieme del parco; o meglio e in onestà ci faccia capire cosa ci stiamo perdendo non camminando per più giorni. Dal visitor center optiamo per il versante sinistro, addentrandoci nella foresta di bassi arbusti e affrontando piccole salite lungo il crinale. Un piccolo torrente corre a fianco, nascosto in mezzo agli arbusti; il suo rumore, in questo contesto, è come una medicina contro lo stress.
Pochi minuti di camminata e quel suono lieve diventa sempre più cupo, preannunciando una cascata nei paraggi. Una serie di piccoli ponticelli ci fanno ammirare il salto proprio dalla vetta. Intanto un po’ la camminata e altrettanto la temperatura non troppo da ghiacciaio, ci porta un poco alla volta a levarci indumenti pensati più per una spedizione artica che per una scampagnata autunnale. L’aria ha un profumo particolare, un misto tra la resina dei boschi e l’aroma puro del ghiaccio, sempre che quest’ultimo possa essere descritto correttamente. I profondi calanchi rendono il nostro percorso un continuo sali e scendi, fatto di silenzi e di fragori. Proprio dopo aver ammirato il paesaggio a Sei, si apre a noi la vallata con sullo sfondo la cascata nera, Svartifoss. Imponente, fatta di colonne scure di basalto, contraddistinta da un rumore assordante. E’ un parco davvero particolare, perché se avessimo girato pochi metri prima e quindi avessimo proseguito sul crinale non avremmo percepito il rumore della cascata, propagato in modo violento solo sul fondo della valle. Chissà quante cose mi sto perdendo qua intorno. Ad esempio un’escursione di due giorni ci avrebbe portato in fondo a Morsardalur, dove la lingua di ghiaccio del Morsarjokull forma un piccolo lago che immagino sia qualcosa di unico. Ma direi che non posso chiedere di più in un viaggio per lo più conoscitivo dell’Islanda. Un’ora scarsa di camminata alpina e finalmente si apre a noi, dopo un leggero declivio roccioso, uno scenario da togliere il fiato; il fiume di ghiaccio del Skaftafellsjokull che stretto nel fiordo del parco scende a valle. E’ come se un mago avesse congelato un fiume in piena, uno tsunami messo in pausa; senza parole. Il silenzio avvolge tutto e tutti, l’unico rumore è lo scricchiolare del ghiaccio che incessantemente si rompe e si ricompatta. Una vista che ha dell’incredibile e da sola vale un viaggio. Sul fondo i sandur, fatti di tanti torrenti del ghiacciaio, lo fanno assomigliare ad un grande delta fluviale. Il sole ogni tanto buca le nuvole esaltando le tonalità azzurre cobalto del ghiaccio. Resterei ore ad ammirare quanto è bello questo pianeta. Ma è ora di rientrare, perché sono parecchie ore che siamo a piede libero su queste vette. La discesa avviene sul lato destro del parco, costeggiando la grande lingua di ghiaccio e facendoci strada tra un po’ di fango e arbusti cresciuti senza un ordine preciso. Ma in un’oretta riprendiamo possesso della vettura, sporchi come due minatori, ma contenti di quanto ci è stato offerto.
La strada che costeggia il parco e ghiacciaio di Vatnajokull è costellata di fattorie, cascate e profondi fiordi che le nuvole basse nascondono gelosamente. Il traffico stradale è ancora più rarefatto, come se l’Islanda oltre al triangolo d’oro non meritasse di attenzione. E invece il sud est è la terra dove il nero della terra, il verde dei pascoli e l’azzurro dei ghiacciai si fonde esaltandone l’atmosfera riservata. Il tempo sta peggiorando, improvvisi rovesci ci colpiscono la vettura da ogni lato, ma passano pochi minuti ed ecco che ampie schiarite accendono arcobaleni ovunque. Questa è l’Islanda, dove il meteo in linea di massima può dirci che tempo farà tra mezzora, ma non oltre. Nel frattempo i fiordi ghiacciati si stanno riavvicinando alla strada; muri imponenti di ghiaccio che in modo sinuoso avvolgono le basse vette islandesi. Da queste parti dovrebbe trovarsi la famosa laguna di Jokulsarlon, ma ho visto in lontananza uno scorcio che merita una deviazione. Peccato che la stradina sia oltremodo disastrata, disseminata di macigni e buche; se la nostra utilitaria supera anche questa, mando un encomio alla Toyota. Parcheggiamo su un dosso, in pratica l’auto sembra in procinto di prendere lo spazio; scolliniamo a piedi e un piccolo lago si apre davanti a noi. Meraviglia. Il ghiacciaio viene a morire proprio qui, lasciando vagare enormi iceberg che la stagione più calda ha plasmato in forme bizzarre. Siamo solo noi, il ghiacciaio e il silenzio. Direi che come incontro è il massimo; il rumore del ghiaccio che scricchiola è da brividi. Provo a rubare qualche scatto, ma poi preferisco godermi lo spettacolo seduto a pochi centimetri dall’acqua. Il cielo ora plumbeo risalta le striature verdi e blu del ghiacciaio; sono quei luoghi che chi ama la fotografia sogna da sempre di vedere. Abbandoniamo a malincuore Fjallsarlon e ci rimettiamo sulla ring road, Con la coda dell’occhio cerco di capire se magari altre strade secondarie possano regalare certi incontri, ma neppure il tempo di ragionare che in prossimità di un ponte mi trovo dentro un grande assembramento di pulmini e veicoli.
Ho raggiunto la turistica Jokulsarlon. Una grande laguna di origine glaciale, con ai due estremi il mare e dall’altra parte la grande lingua di ghiaccio che si protende dalle montagne. Altro paesaggio difficile da descrivere; qui grandi iceberg solcano le acque piatte della laguna creando grandiosi giochi di luce e di riflessi. Che posti che sto ammirando, nemmeno in foto ho mai visto luoghi simili. Riusciamo a comprare una delle ultime corse su di un mezzo anfibio, direi che per questo tipo di business non esista crisi data la fila per salire. Un breve giro ci addentra tra alcuni iceberg, facendoci assaggiare un pezzo di ghiaccio che dovrebbe avere qualche centinaio di anni. Peccato non si arrivi mai nel punto dove inizia il ghiacciaio, il che mi fa sembrare il giro più turistico di quello che è; ma la motivazione è che noi vediamo ciò che galleggia, ma non ciò che potrebbe affiorare in ogni istante. Nel nostro giro un grande boato cupo ci regala l’immagine della rottura di una colonna di ghiaccio da un iceberg, rimaniamo tutti basiti. Mi soffermo un’ora sulla sponda della laguna cercando di immortalare più che posso, ma qui davvero conta esserci. Giornata piena, ricchissima di paesaggi mai ordinari; siamo stremati, infreddoliti e molto affamati. Per fortuna il nostro alloggio è poco prima di Hofn, non molto distante da qui. Onestamente spero di capire dove si trovi, ma è meglio non darlo da vedere alla mia fiduciosa e intrepida compagna. Sorriso stampato in volto e via con i tentativi, anche perché quassù i nomi sono tremendamente lunghi e tutti simili; fortuna vuole che di alloggi nel raggio di cento km ce ne siano al massimo dieci, quindi anche per oggi un tetto e un pasto caldo me lo sono guadagnato.
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giotto |
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